Repubblica Italiana N. 3/89 Reg. dec.
in nome del popolo italiano N.15/8-12/88Reg.Gem.
II
La Corte di Assise di I grado di Firenze
Composta dei signori:
1 Dott. Armando Sechi Presidente Sentenza
2 Dott. Aldo Giubilaro Giudice est. In data 25/2/1989
3 Andrea Innocenti Giudice popolare
4 Renzo Rossellini ‘ ‘
5 Annalisa Del Sala ‘ ‘
6 Luigi Gelli ‘ ‘
7 Lorena Bicocchi ‘ ‘
8 Brunellesco Bresci ‘ ‘
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa (1) a procedimento formale
Contro
1 Calò Giuseppe, n. a Palermo il 30/9/1931, in atto detenuto c/o la Casa Circondariale di Palermo; arr. L’11/1/1986 DETENUTO PRESENTE
2 Cardone Luigi, n. a Napoli il 28/11/1957 in atto agli arresti domiciliari in Napoli, Via Cirillo,23 (30/11/1987) DETENUTO ARRESTI DOMICILIARI PRESENTE
3 Cercola Guido, n. a Roma il 22/9/1944, in atto detenuto presso la Casa Reclusione Fossombrione
arr. L’11/1/1986 DETENUTO PRESENTE
4 Di Agostino Franco, n. a Roma il 16/2/1935, in atto agli arresti domiciliari in Roma via Cassia,12 arr. L’11/1/1987 DETENUTO ARR. DOMICILIARI PRESENTE
5 Esposito Carmine, n. a Napoli il 3/12/1923 ivi res. Via Salita Moiariello, 78 LIBERO CONTUMACE
6 Galeota Alfonso, n. a Napoli il 2/10/1940, in atto detenuto presso la C.C.le Sollicciano-Fi arr.l’11/1/1986 DETENUTO PRESENTE
7 Luongo Lucio, n. a Napoli 7/3/1962 in atto detenuto p.a.c. presso la C.C.le Benevento
DETENUTO P.A.C. PRESENTE
8 Missi Giuseppe, n. a Napoli il 6/7/1947, in atto detenuto c/o Casa Reclusione Pianosa
arr. 11/1/1986 DETENUTO PRESENTE
9 Pirozzi Giulio, n. a Napoli il 15/6/1978, in atto detenuto presso Casa Circondariale Sollicciano-Fi
arr. 11/1/1986 DETENUTO PRESENTE
10 Rotolo Antonino, n. a Palermo il 3/1/1946, in atto detenuto arresti domiciliari presso ospedale G.F.Ingrassia Palermo arr. Il 14/1/1986 DETENUTO ARR.DOMIC. ASSENTE RINUNCIANTE A COMPARIRE
11 Schaudin Friedrich, n. a Zagabria il 14/5/1939, res. In Roma, Ostia Lido viale dei Promontori, 428 oppure a Roma via dei Gonzaga, 185 LATITANTE CONTUMACE
IMPUTATI
Per il prec. Pen. N. 15/87 R.G.
Calò Giuseppe, Cardone Luigi, Cercola Guido, Di Agostino Franco, Galeota Alfonso, Missi Giuseppe, Pirozzi Giulio, Rotolo Antonino, Schaudin Friederich;
-
Il delitto di banda armata previsto dagli art 110-306, I co. c.p. perché, essendosi formata una banda armata per commettere i delitti indicati nell’art.302 c.p. e, segnatamente, quelli di attentato per finalità terroristiche o di eversione e di strage, rispettivamente previsti dagli art. 280-285 c.p., in concorso tra loro e con altri –tra cui Abbatangelo Massimo per il quale pende richiesta di autorizzazione a procedere e Lombardi Carmine deceduto, vi svolgevano funzioni organizzative, in particolare Calò, Cercola, Di Agostino, Rotolo approvvigionando la banda di armi ed esplosivi ed anche , con l’ausilio di Schaudinn e Fiorini, di congegni atti a provocare esplosivi a distanza, Missi reclutando aderenti e procurando esplosivi, Luongo e Pirozzi agendo per il trasporto di esplosivi, Galeota offrendo il supporto operativo alle operazioni del gruppo, Cardone e Martello attivandosi per mantenere collegamenti tra i membri della banda armata, D’Amato e Di Gesù operando nel medesimo senso. Banda armata agente in territori di Napoli, Roma e Firenze almeno fino al 23 dicembre 1984, data nella quale venivano commessi i delitti di cui agli art. 280 e 285 c.p. con riferimento all’attentato al treno rapido n. 904 Napoli-Milano;
-
Il delitto di strage previsto dagli art. 110-112 n.1, 285 c.p. perché, in concorso tra loro e con altri
-tra cui Abbatangelo Massimo per il quale pende richiesta di autorizzazione a procedere e Lombardi Carmine, deceduto, agendo in numero superiore a cinque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello stato, commettevano un fatto diretto a portare la strage in parte del territorio dello stato e ciò facevano mediante la collocazione, presso la stazione di S.Maria Novella di Firenze, intorno alle ore 18,30 del 23 dicembre 1984, di un ordigno esplosivo sulla carrozza di seconda classe n.518322-70989- I del treno rapido n. 904 Napoli-Milano, ordigno che, a fine di uccidere, veniva fatto esplodere alle ore 19,08 di quello stesso giorno, al Km. 44+485/685 della tratta Firenze-Bologna, all’interno della Grande Galleria dell’Appennino, con causazione della morte di Altobelli Giovanbattista, Brandi Annamaria, Calvanese Angela, Cavalli Susanna, Cerrato Lucia, De Simone Anna, De Simone Giovanni, De Simone Nicola, Leoni Pierfrancesco, Matarazzo Luisella, Moccia Carmine, Moratello Valeria, Morini Marialuigia, Taglialatela Federica, Vastarella Abramo, e del ferimento di almeno le persone indicate sub C ed in tale fatto-reato gli imputati concorrevano proggettandolo, organizzandolo, fornendo gli esplosivi ed i congegni adatti alla loro deflagrazione, disponendo per la loro messa in opera;
C) il delitto di attentato per finalità terroristiche o di eversione previsto dagli art. 110-112 n.1, 280 p.p., I e III cpv. c.p. perché, in concorso tra loro e con altri, fra cui Abbatangelo Massimo per il quale pende richiesta di autorizzazione a procedere e Lombardi Carmine, deceduto, agendo in numero superire a cinque, nelle circostanze di tempo e di luogo e con le modalità indicate nel capo che precede, per finalità di terrorismo e di eversione
C)Il delitto di attentato per finalità terroristiche codice versione prevista dagli art.110,112 n.1,280 p. p., primo e terzo cpc. c.p. perché, Pinna concorso a tra loro e con altri, tra cui Abbatangelo Massimo per il quale pende richiesta di autorizzazione a procedere e Lombardi Carmine, deceduto, agendo in numero superiore a cinque, nelle circostanze di tempo e di luogo e con le modalità indicate nel capo che precede, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale, attentavano alla vita e all’incolumità dei passeggeri del treno rapido n.904 Napoli-Milano, fatto dal quale derivavano la morte di Altobelli Giovanbattista, Brandi Annamaria, Calvanese Angela, Cavalli Susanna, Serrato Lucia, De Simone Anna, De Simone Giovanni, De Simone Nicola, Leoni Pierfrancesco, Matarazzo Luisella, Moccia Carmine, Moratello Valeria, Morini Maria Luigia, Tagliatella Federica, Vastarella Abramo, nonché lesioni di varie entità ad almeno le seguenti persone: Alaio Eugenio, Albanese Emilio, Albanese Filomena, Algeri Antonio, Amer Yomma, Andreoli Iride, Angrisani Maria Rosaria, Anzovino Federica, Apicelli Leonisia, Arenga Lidia, Arcasi Rosa, Avallone Aristide, Barbarino Aniello, Barbato Angela, Barbera Giuseppa, Baroni Paola, Bartali Carla, Bellutti Roberto, Benassi Mauro Giovanni, Benedettini Anacleto, Berni Clementina, Bezzi Marini, Bianconcini Gianclaudio, Bich Angelina, Biraghi Alessandro Carlo, Bonavoglia Antonio, Bondi Gwen, Bonicatti Alessandro, Bonicatti Corrado, Bonicatti Marina, Borrelli Teresa, Besso Sergio,
Brancaccio Speranza, Brancati Alfonso, Bretton Loraine, Bucciero Antonio, Buccinà Vittorio Emanuele, Bunting Teresa, Buonanno Giuseppe, Calabrò Giovanni, Calabrò Antonio Maria, Calabrò Vincenzo, Candelari Elisa, Camasso Palma, Cannavale Antonio, Carbi Anna, Caruso Paolo, Cascelli Pascquale, Casciello Rosa, Casile Diego, Cassese Giovanni, Castaldo Paola, Castelli Emiliano, Castelli Wladimiro, Cavaliero Vittorino, Cavallotti Anna, Celardo Antonio, Cennamo Raffaele, Cennamo Vincenza, Ciampi Chiarina, Cerrano Vincenzo, Ciavatti Stefano, Cilluffo Giovanni Battista, Civitarrese Stefania, Codazzi Pier Matteo, Codazzi Umberto, Comanzo Rosa, Comellini Maura, Coppola Salvatore, Costone Natale, Costa Giovanni,Cresta Carmelina, Cuomo Michela, D’alba Rita, D’aniello Giuseppe, D’Aniello Carmela Anna, De Donato Tiziana, D’Esposito Cinzia, De Guglielmo Anna, De Luca Maria Luigia, De Luca Rosa, De Roma Immacolata, De Rosa Vincenzo, De Simone Ciro, De Tommasi Maria Rosaria, De Vivo Luigi, Di Donna Giovanni, Di Fraia Giuseppe, Di Fraia Maria Rosaria, Di Fraia Scipiona Vincenzo, Di Gennaro Orazio, Di Marino Francesco, Di Mauro Leonardo, Di Puoti Palmina, Dorigo Patrizia, Duraccio Anna, Erschig Michael, Esposito Maria, Evangelisti Lorena, Fabbroni Alessandra, Fabiano Santo Angelo, Fabretti Stefano, Fanti Maurizio, Farinelli Angela, Fattore Paolo, Favoriti Enrico, Fera Liliana, Ferrari Francesco, Ferrarini Gildo, Fico Rosa, Finelli Gianluca, Fiore Giuseppe, Formicola Giovanna, Galante Delia, Galassi Mark, Gallinaro Rosaria, Gallo Lucia, Gallone Antonia, Gandini Silvia, Garbi Annamaria, Gargiulo Nunzio, Ghilardi Bernardina, Giuliani Sandro, Golisano Salvatore, Giusti Mario, Giusti Patrizia, Grasso Ciro, Grimaldi Mariano, Guarino Antonio, Jemes Michael Stephens, La Bagnale Pasquale, La Greca Anna, Landi Concetta, Landriscina Romualdo, Lappin Peter, Langella Giuseppina, Lancella Lorenzo, Leaven Andreas, Lembo Sabato, Lemmo Maria, Lencioni Silvana, Liberatore Raffaele, Liberti Nicola, Maddaluno Michele,Maes Theodorus Aloysius Gerardus, Maganuco Cristina, Magno Giovanni, Magno Concetta, Magno Serafina, Maiale Rosaria, Manari Alfonso, Manfrè Antonina, Manguzzi Elvira, Marciano Anna, Marra Addolorata, Marzocchi Giuseppe, Maschini Riccardo, Masella Alberto, Maugeri Alfonso, Mayer Wolfgang, Molino Antonio, Montanari Luca, Monti Maria, Nachtwey Ingeborg, Napoletano Vincenza, Napolitano Bianchina, Nappi Eva, Nappo Angelo, Nappo Donato, Nastro Catella, Nuzzolese Rita, Pagano Giacomo, Palema Antonella, Paliasi Salvatore, Palumbo Consiglia, Pappagallo Loretta, Pappalardo Mariano, Parente Rosaria, Pari Giuseppe, Patti Rosario, Pellecchia Elvira, Pellecchia Raffaele, Perna Anna, Petacca Alfonso, Petacca Vincenzo, Petrin Stefano, piazza Valentino Piciocchi Mario, Pizzarelli Giovanni, Pizzi Alberto, Prati Maria Vittoria, Marianna, Ragozzino Anna, Rebuzzi Ugo, Rivieccio Anna, Rizzo Anna, Rocchi Amleto, Romano Nunzio, Romano Pietro, Salimbeni Maria, Salvati Mariagiuseppa, Samorì Piergiacomo, Santoro Arcangelo, Saja Francesco, Schettino Catello, Schirò Giovanni, Scianguetta Angelo, Scrollavezza Fiorella, Serino Alessandro, Serino Gianni Pasquale, Sica Gerardo, Sola Angela, Sorvino Giovanna, Spagniuolo Antonietta, Stigliano Laura, Sturaro Lorena, Tacchi Ennio, Taglialatela Gioacchino, Talamanca Francesca, Toro Rosa, Torre Gerarda, Troia Emilia, Tumatis Claudio, Timatis Francesca, Tumatis Ivan, Tupano Carolina, Ungarelli Gilberto, Valva Carmelina, Van Holk Gert Jean, Venerucci Silvia, Vernazzani Massimiliano, Veronesi Donatella, Verrone Luigi, Verrone Nicola, Verrone Salvatore, Vertucci Giovanna, Vitale Raffaele, Valonnino Antonio, Valonnino Concetta, Valonnino Salvatore, Zambardi Emilia, Zambardi Mario, Zambardi Massimo, Zanichelli Daniele, Zannini Domenica, Zeno Vincenzo, Mangozzi Elvira, Pellecchia Nicola, Quagliuolo Vittorio, Roberto Concetta.
D) il delitto continuato di fabbricazione, detenzione e porto di ordigno esplosivo previsto dagli art. 110, 112 n.1, 81, 61 n.2 c.p. ;21 L.n.110/1975; 1,2,4 p.p. ed ult. co. 1 n. 985/1979, conv. Nella L. n. 15/1980,, perché, in concorso tra loro e con altri, tra cui Abbatangelo Massimo, per il quale pende richiesta di autorizzazione a procedere e Lombardi Carmine, deceduto, agendo in numero superiore a cinque, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, illegalmente fabbricavano detenevano e portavano in luogo pubblico, ove era concorso di persone, un ordigno esplosivo, commettendo i fatti per eseguire quelli di cui ai precedenti capi B) e C), per finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine costituzionale e detenendo l’ordigno per mettere in pericolo la vita delle persone della sicurezza della collettività mediante la commissione del delitto previsto dall’art. 285 c.p. . In epoca anteriore e prossima al 23/12/1984 ed anche in tale giorno ed anche in Firenze;
LUONGO LUCIO:
E) il delitto continuato di detenzione e porto di esplosivo previsto dagli art. 81 cpv., 1 L. n. 110/1975, 2, 4 L.n. 895/1967 modif. da l.n.497/1974, perché in Napoli,nel dicembre 1984, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, deteneva e portava, in luogo pubblico, ove era concorso di più persone, candelotti di esplosivo, reato questo del quale è indiziato anche Abbatangelo Massimo per il quale tende richiesta di autorizzazione a procedere;
ESPOSITO CARMINE:
H)del delitto continuato di favoreggiamento personale previsto dagli art.81 cpv., perché in Napoli, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nella prima decade di dicembre 1984, rifiutandosi di fornire, agli ufficiali di P.G. della questura di Napoli, che gliele chiedevano, notizie relative al modo in cui aveva appreso circostanze relative all’attentato ad un treno veloce in partenza da Napoli che egli aveva preannunciato si sarebbe verificato nel periodo natalizio, aiutava gli autori dei delitti di detenzione di esplosivo e banda armata a sottrarsi alle investigazioni e alle ricerche dell’Autorità e poi, il 24/12/1984, essendosi verificata la strage del 23/12/1984 al treno rapido 904 Napoli Milano, asserendo alla P.G. di aver appreso le notizie da un cartomante, ancora aiutava, mediante tale falsa asserzione, gli autori del delitto a sottrarsi alle investigazioni e alle ricerche dell’Autorità, così unificate e precisate le imputazioni di cui alle lettere F) ed H) della rubrica;
con la recidiva reiterata specifica per il Calò, reinterata per il Cercola, reinterata specifica per il Missi, reiterata specifica infraquinquennale per il Luongo, reiterata infraquinqennale per l’Esposito e reiterata specifica per il De Agostino (art.99 c.p.);
Per il proc. pen. n.12/88 R.G.:
Calò Giuseppe, Cardone Luigi, Cercola Guido, Di Agostino Franco, Galeota Alfonso, Missi Giuseppe, Rotolo Antonino, Schaudinn Friederich, Pirozzi Giulio:
-
del delitto di strage previsto dagli art.110,112 n.1, 285 e c.p. perché, in concorso tra loro e con altri, tra cui Lombardi Carmine deceduto, agendo in numero superiore a 5, alla scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commettevano un fatto diretto a portare la strage in parte del territorio dello Stato e ciò facevano mediante la collocazione, presso la stazione di Santa Maria Novella di Firenze, intorno alle ore 18,30 del 23/12/1984, di un ordigno esplosivo sulla carrozza di seconda classe numero 518322/70989-I del treno rapido numero 904 Napoli Milano, ordigno che, al fine di uccidere, veniva fatto esplodere, alle ore 19,08 di quello stesso giorno, al Km 44+485/685 della tratta Firenze Bologna, all’interno della grande galleria dell’Appennino, con causazione della morte, tra l’altro, di Taglialatela Gioacchino avvenuta in Napoli il 24/5/1987 e del ferimento di numerose altre persone ed in tale fatto reato di imputati concorrevano progettandola, organizzandola, fornendo gli esplosivi e i congegni adatti alla loro deflagrazione, disponendo per la loro messa in opera;
B)del delitto di attentato per finalità terroristiche o di eversione previsto dagli art.110, 112 n.1, 280 p.p., I e III cpv. C.P. perché, in concorso tra loro e con altri, tra cui Lombardi Carmine deceduto, agendo in numero superiore a cinque, nelle circostanze di tempo e di luogo e con le modalità indicate nel capo che precede, per finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine costituzionale, attentavano alla vita e all’incolumità dei passeggeri del treno rapido numero 904 Napoli Milano, fatto del quale derivava la morte, tra gli altri, di Taglialatela Gioacchino avvenuta in Napoli il 24/5/87 ed il ferimento di numerose altre persone.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Alle ore 12,55 del 23 dicembre 1984 partiva dal binario n.11 della stazione ferroviaria di Napoli Centrale il treno rapido n.904 con destinazione Milano. Giunto alla stazione di Firenze Santa Maria Novella, nel ripartire dalle ore 18,37 per percorrere il tratto appenninico alla volta di Bologna e da qui raggiungere la meta ultima del capoluogo lombardo. Epperò, quando erano le 19,08 il convoglio si trovava all’altezza del Km.44,500 circa da Firenze, in corrispondenza della c. d. Grande Galleria dell’ Appennino (subito dopo la stazione di Vernio), all’interno di una delle carrozze si verificava una spaventosa esplosione che ne arrestava bruscamente e tragicamente la corsa. L’esplosione si verificava, per l’esattezza, sulla prima delle carrozze di 2.a classe, la nona dalla testa del treno; treno composto da un locomotore, da n.5 carrozze di 1.a classe, da n.1 carrozza ristorante,da n.1 carrozza ristoro di 2.a classe, da n.6 carrozze di 2.a. classe e da un bagagliaio. In conseguenza della violenza dell’esplosione e degli effetti di questa-per il fatto di essere avvenuti all’interno e quasi al centro di una galleria-15 dei circa n.600 viaggiatori perdevano la vita (un sedicesimo viaggiatore, Taglialatela Gioacchino, l’avrebbe persa da lì a qualche mese); altri 267 almeno subivano lesioni di varia gravità.
L’Autorità Giudiziaria di Bologna, nel cui territorio di competenza si era verificato il fatto, disponeva immediatamente le indagini ritenute necessarie, prima tra tutte l’individuazione del punto esatto dell’esplosione. Dagli accertamenti peritali fatti eseguire a questo scopo emergeva che la carica esplosiva era stata piazzata sulla griglia portapacchi in metallo esistente lungo il corridoio della vettura, in corrispondenza, per l’esattezza, del divisorio tra l’undicesimo e il dodicesimo scompartimento, rispettivamente il secondo e il primo nel senso di marcia della vettura. Poiché, poi, l’esplosivo avrebbe dovuto essere di peso non trascurabile (pari a circa 14 kg di peso, come verificato poi in via sperimentale), i periti esprimevano la persuasione che la carica esplosiva era stata custodita dall’attentatore in due distinti contenitori e non in uno. Questo non perché fosse astrattamente impossibile l’impiego di un’unica custodia-bagaglio, quanto per la ragione pratica che il trasporto a mano di un peso come quello dell’ordigno, per di più costruito da materiale e da congegni delicati, si presenta più agevole più “naturale” (anche agli occhi di chi guarda e potrebbe ipoteticamente insospettirsi) se effettuato con due diversi contenitori. Verosimilmente due di quelle borse in tela o materiale plastico, leggere, maneggevoli, normalmente con chiusura lampo e due manici, di uso correntissimo per i motivi più svariati. Dalla constatazione che la griglia portapacchi era stata distrutta per un tratto di soli 50 centimetri, traevano il convincimento che i due contenitori non erano stati posti a contatto tra loro lungo il lato più corto, ma per il lato più lungo, perché nel primo caso sarebbe stato interessato dallo scoppio un tratto più esteso della griglia. Ipotizzavano, poi, che le borse (affiancate per il lato più lungo, come già esposto) non erano state sistemate longitudinalmente alla griglia ma trasversalmente alla stessa per la semplice ragione che la griglia, ampia appena 31 centimetri, non avrebbe sorretto il più esterno dei due involucri se non con l’aiuto di un qualche (e non concretamente ipotizzabile) legatura (v. relazione depositata il 6.5.85 alle pagg.31 e segg. fasc.LXII).
Conferma a questa prima serie di deduzioni veniva offerta da altri accertamenti a carattere tecnico; esattamente da quelli di natura medico legali sulle lesioni riportate dalle vittime dell’esplosione, sulle caratteristiche di queste e sulla loro ubicazione. Inevitabile l’ individuazione di bruciature agli indumenti, alle formazioni pilifere ed alla cute di alcuni cadaveri come pure di ampie emorragie polmonari, conseguenza del brusco aumento di pressione determinato dallo scoppio, e di lesioni di varia entità da schegge, più o meno diffuse. Significativo, tuttavia (e senza che occorra soffermarsi più di tanto sugli altri rilevamenti operati dai periti) che su 15 casi ben 10 mostrato segni degli effetti calorici a livello dell’estremità encefalica e che gli arti inferiori (particolarmente vulnerabili in chi è seduto) fossero interessati undici volte; ed ancora e da ultimo che sette presentassero lesioni di natura contusiva esterna a localizzazione cranica e ben 14 agli arti inferiori, parte superiore degli stessi. Dall’alta incidenza di effetti dello scoppio sulle estremità encefalica delle vittime e sui loro arti inferiori i periti venivano indotti a ritenere che ad essere esposti all’esplosione erano state principalmente le estremità superiori dei passeggeri e che l’onda d’urto dell’esplosione -e si tratta della medesima conclusione raggiunta dai periti balistici esposta da un diverso punto di vista- si era propagta dall’alto verso il basso. In un caso come quello in esame non potevano mancare indagini peritali sul tipo e sul quantitativo di materiale esplodente usato dagli attentatori né sul meccanismo di attivazione della carica. In relazione al primo ordine di interrogativi, all’esito di scrupolose analisi chimiche, effettuate con tecniche particolarmente sofisticate e dall’elevato potere diagnostico, i periti costavano la presenza di pentrite, di nitrato di ammonio, di alluminio e di solfato di bario, gli ultimi tre notoriamente impiegati per la composizione di esplosivi ad usi civili e militari. Quanto al nitrato di ammonio, che sotto il profilo quantitativo costituisce il componente principale negli esplosivi per usi civili e militari, osservavano, tuttavia, che la presenza su alcuni reperti dell’esplosione del 23 dicembre 1984 era scarsamente significativa, essendone stata rilevata una quantità talmente esigua da non costituire indizio della sua presenza nella carica esplosa. Sia pure per altra ragione ad essere escluso era pure l’alluminio, normalmente inserito nella preparazione di esplosivi per aumentare il potere di spinta. Ne era stato rilevato in quantità su tutte le superfici esposte all’esplosione e distribuito in maniera uniforme e queste circostanze da un lato rendevano improbabile che si trattasse di residui della carica esplosa; dall’altro facevano pensare al generale impiego di vernici all’alluminio nella protezione interna delle carrozze ferroviarie. Infine il solfato di bario, sostanza inorganica usata per la composizione di alcune miscele esplosive per usi civili. Nel caso dell’esplosione del treno rapido n.904 non andava collegato alla carica utilizzata dagli attentatori bensì ai fogli di barifol impiegati dalla f. s. quale componente del piano di calpestio delle vetture. Facevano sapere ancora i periti che se sostanze esplosive come hmx, tetrile, dinitrotoluolo e dinitroglicol erano certamente assenti e nella carica brillata il 23 dicembre 1984, per verificare la presenza o meno del tritolo, del T4 e della nitroglicerina occorrevano altre e più approfonditi accertamenti tecnici. Questi venivano ovviamente disposti (lo stesso giorno 6.5.85 del deposito della relazione fin qui sintetizzata) portavano a concludere con certezza che la miscela esplosiva doveva ritenersi composta oltre che dalla pentrite -la cui presenza veniva confermata dalla ulteriore serie di analisi- dal T4, dalla nitroglicerina e dal tritolo, in percentuale risultata essere, a seguito di dati sperimentali, in scala decrescente dalla pentrite al tritolo, attraverso il T4 e la nitroglicerina.
Il numero e la peculiarità dell’ impiego nella medesima circostanza delle quattro sotanze appena dette inducevano i periti a svolgere considerazioni di particolare importanza in punto di provenienza di ciascuno dei succitati quattro tipi di esplosivo. Era da escludersi, in primo luogo, che le quattro sostanze potessero provenire da un’unica miscela di produzione industriale, composta, per l’appunto, da pentrite, T4, nitroglicerina e tritolo. Ciò molto semplicemente per l’inesistenza, sul mercato, in campo civile o militare, attualmente come nel passato, di miscele del genere. Secondariamente giudicavano concretamente improbabile l’utilizzazione di un preparato, correntemente reperibile sul mercato per usi civili o militari, contenente -all’interno di una composizione più articolata e complessa- il binomio nitroglicerina-tritolo, abbinato alla pentrite e al T4, dal momento che i componenti principali dell’ ordigno esploso all’interno della carrozza andavano individuati non nella nitroglicerina e nel tritolo ma proprio nella pentrite e nel T4, utilizzati da soli oppure in abbinamento. In conseguenza di quanto appena detto i periti propendevano per la tesi da considerarsi di gran lunga la più attendibile; e cioè che la carica era stata realizzata associando esplosivi completamente diversi per costituzione, impiego e provenienza e ciò vuoi per effetto della disponibilità momentanea da parte degli attentatori dei quattro tipi di esplosivo, vuoi per il proposito di depistare gli accertamenti chimico- analitici e rendere più difficoltosa la loro interpretazione. Su questo stesso ordine di concetti i periti facevano sapere, tuttavia, che la presenza contemporanea di nitroglicerina e tritolo poteva spiegarsi ricorrendo ai gelatinati, nella cui composizione rientra normalmente anche il tritolo. Quanto alla pentrite ed al T4, segnalavano l’esistenza di un tipo di esplosivo plastico (cui bisogna fare riferimento come fonte di provenienza dell’una e dell’altro) caratterizzato dalla presenza contemporanea delle due sostanze. Si tratta delle semtex H, di fabbricazione cecoslovacca, noto in diverse formule di composizione ma per l’appunto tutte a base di pentrite e di T4, dispersi in varia proporzione in una matrice elastomerica. Da ultimo, la quantità della carica fatta esplodere sul rapido n.904. A questo proposito i periti verificavano sperimentalmente che l’ordigno doveva avere una potenza intermedia a quella posseduta da 12 e da 16 chilogrammi di esplosivo plastico alla pentrite, con fattore di equivalenza in tritolo pari a 1,2 (Kg.1 di esplosivo plastico equivalente a Kg. 1,2 di tritolo).
In premessa alle argomentazioni sulle modalità di attivazione della carica, i periti esponevano che i sistemi di azionamento di un esplosivo possono distinguersi in due categorie: una prima, costituita da congegni per il comando a distanza; una seconda, da congegni ad azione ritardante. Tra i primi vanno inseriti i meccanismi che utilizzano un conduttore elettrico, un cordone di comando interruttore o un segnale radio; tra i secondi i sistemi che utilizzano micce a lenta combustione, congegni chimici o chimico meccanici, temporizzatori meccanici, elettrici oppure elettronici. Venendo all’esplosione del 23.12.84 e dalla necessità di ipotizzare il tipo di congegno concretamente impiegato, essendo andato distrutto dalla violenza dell’esplosione quello di fatto utilizzato dagli attentatori, gli esperti escludevano che tra i sistemi comandati a distanza fosse stato scelto quello a conduttore elettrico oppure l’altro a cordone azionante un interruttore. Nell’uno come nell’altro caso l’attentatore avrebbe dovuto rimanere a bordo del convoglio ed agire, poco prima dell’esplosione, all’altro capo del filo. Senza dire delle difficoltà, per la presenza dei viaggiatori e la natura delle operazioni di messa in opera del filo, e dell’elevato rischio di rimanere coinvolto nell’esplosione. Sempre per ragioni connesse alle caratteristiche intrinseche del metodo ed alla presenza dei viaggiatori, i periti erano portati ad escludere l’ impiego di miccia a lenta combustione. Orientavano le loro preferenze, il invece, su meccanismi di temporizzazione chimica (acido-membrana), chimico-meccanica (acido meccanismo distensivo di molla) o meccanico (ad orologeria), elettrico oppure elettronico (a discarica capacitativa). Per la verità non esclusiva l’uso di un sistema di attivazione della carica a distanza mediante impulso radio ma osservavano che l’esplosione era avvenuta all’interno di una galleria (esattamente a metri 7200 dall’imbocco) e poiché il segnale non avrebbe potuto raggiungere l’esplosivo a causa dello schermo costituito dalla galleria stessa, avrebbe dovuto esser usato un congegno duplice: ad impulso radio (da essere dato alla carica prima dell’ingresso del treno in galleria) e di temporizzazione (per ritardare l’esplosione e fare in modo che si verificasse, come di fatto avvenuto, un qualche tempo dopo l’imbocco della galleria da parte del convoglio). Dalla maggiore complessità di un sistema del genere, rispetto ad un più semplice congegno di temporalizzazione, e dalle maggiori difficoltà di un suo reperimento sul mercato oppure di costruirlo, la minore probabilità, secondo i periti, dell’uso di un congegno radio-timer. E tuttavia, chiamato a verificare la possibilità in concreto dell’impiego per su di un treno in corsa di un sistema di attivazione della carica mediante segnale radio, il perito appositamente nominato dalla A.G. di Bologna rispondeva all’interrogativo in termini positivi. Con relazione depositata l’8.5.85, e faceva sapere, infatti, che era ben possibile che un ricevitore posto sul treno ricevesse l’impulso radio, e solo quello, inviatogli prima che il treno inboccasse la galleria; l’impulso datogli da distanza da uno di quei punti, ad esempio, nei quali è visibile un ampio tratto di strada ferrata prima della galleria. Aggiungeva che in un caso del genere il ricevitore, raccolto in segnale, avrebbe eccitato il circuito di ritardo elettronico (regolabile) con la conseguenza di dar luogo all’innesco della carica dopo il tempo desiderato.Con riferimento alla necessità che il congegno non venisse casualmente attivato da un segnale diverso da quello degli attentatori, il perito poneva il rilievo l’esistenza in commercio e la facile reperibilità di apparecchi, codificazioni per il trasmettitore e decodificatori per il ricevitore, che rendono praticamente impossibile l’interferenza di altri impulsi radio: l’apparecchio viene sollecitato esclusivamente dal segnale di quel trasmettitore; segnale che ‘riconosce’ perché emesso con ben precise, codificate e predeterminate caratteristiche: la frequenza del segnale; la moderazione di tale frequenza e l’ordine e la cadenza delle note costituenti il segnale. Soffermandosi, poi, sulle possibilità concrete del ricevitore di recepire l’impulso radio, esponeva il perito che il sistema avrebbe dovuto rispondere alle seguenti caratteristiche:
-essere stato assemblato e collaudato prima di essere collocato presso la carica;
-essere collegato a pila con un comando ad interruttore, da azionare prima dell’abbandono dell’ordigno sul treno; pile destinate ad alimentare il ricevitore, il decodificatore, il circuito di ritardo e l’accenditore all’atto dell’innesco della carica;
-essere dotato di un’antenna, quanto al trasmettitore, in grado di inviare il segnale codificato; antenna da trovarsi, al momento dell’emissione del segnale radio, praticamente a vista del treno e ad una distanza da un minimo di qualche decina di metri a parecchi chilometri (in relazione, ovviamente, alla potenza del trasmettitore ed alle caratteristiche dell’antenna);
-avere una frequenza, per il comando, fra il 140 e 500 a MHz per una buona penetrazione del segnale e la sua propagazione all’interno del treno. Ad ogni buon conto, allo scopo di verificare nel concreto la ricostruzione operata in via teorica, il perito procedeva a una verifica sperimentale, simulando, il giorno 26.4.85, l’azione sul luogo stesso dell’attentato. In quella occasione veniva sistemata in una borsa l’apparecchiatura ricevente, corredata di un interruttore per la sua accensione e di tre spie luminose: la prima, per segnalare l’accenzione dell’apparecchiatura; la seconda, l’arrivo dell’impulso radio e la terza l’esaurimento del tempo di ritardo, previsto in 6 minuti. Allo scadere di quest’intervallo di tempo l’accenditore (già collegato all’apparecchiatura e sporgente dalla borsa) avrebbe dovuto bruciarsi. La borsa, previa accensione dell’apparecchiatura, veniva piazzata alla stazione di Firenze Santa Maria Novella su di un treno diretto a Bologna in posizione analoga a quella ipotizzata per l’attentato. Avveniva, poi, l’appostamento in auto nei pressi della stazione di Vernio, il luogo dal quale era possibile vedere il tratto di ferrovia della stazione ferroviaria all’inbocco della galleria e dal quale poteva darsi al treno, al momento del transito, il comando radio. Questo veniva dato, alla comparsa del convoglio, e provocava l’immediata accensione, constatata sul convoglio stesso, della seconda spia (la prima si era regolarmente accesa al momento dell’accensione del marchingegno). Al trascorrere di sei minuti programmati avveniva l’accensione della terza ed ultima spia e la contemporanea fiammata dell’accenditore: l’esperimento era perfettamente riuscito e confermava le possibilità di comandare a distanza
su di un treno in corsa l’innesco di una carica esplosiva, con ritardo dell’esplosione del tempo desiderato. Come per prevenire le obiezioni circa la concreta fattibilità di un congegno apparentemente molto complicato e di difficile realizzazione, osservava il perito che la sua preparazione avrebbe potuto esser fatta da un tecnico o addirittura da un hobbysta sperimentatore che avesse dimestichezza con apparati ricetrasmittenti (molto diffusi) usati nella banda dei privati e in quella dei radioamatori molti dei quali già dotati di codifiche per chiamate selettive. Tali apparati, anche con codifiche sofisticate, vengono importati o costruiti in Italia e distribuiti da molte ditte. Il perito aggiungeva testualmente, poi: “il tecnico che vuole realizzare un sistema di comando come quello descritto, deve solo essere in grado di estrarre da un ricetrasmettitore funzionante il ricevitore e l’eventuale decodificatore senza fare danni, aggiungere il timer elettronico con relais che è di facile realizzazione, collegare le varie parti correttamente e provvedere all’alimentazione.” “In caso di difficoltà può sempre ricorrere ad uno specialista del campo, facendo credere che il dispositivo serve per comandare a distanza l’apertura e la chiusura di un cancello o della porta di un garage, oppure la accensione o lo spegnimento di un ponte radio a distanza o una sua caratteristica di funzionamento.” Sul piano delle indagini, volte alla individuazione degli autori dell’attentato, venivano escussi i non pochi testi che erano rimasti in qualche maniera coinvolti nell’esplosione. Di particolare importanza si dimostravano subito le dichiarazioni di certa Gallinaro Rosaria che, trovatasi a viaggiare sul rapido numero 904, ed esattamente sulla stessa vettura presa di mira dagli attentatori, aveva avuto la casuale possibilità di osservare, sia pure senza attribuire ai fatti, sul momento, particolare importanza, la singolare condotta di un viaggiatore. Alla stazione di Firenze Santa Maria Novella, durante la sosta del treno e mentre si trovava nel corridoio della vettura (quella poi colpita dall’esplosione) aveva notato un uomo sistemare sulla griglia portapacchi dello stesso corridoio due borsoni. L’uomo si trovava a dopo il primo scompartimento e non ancora in corrispondenza dell’ingresso del terzo ed a quell’altezza (pertanto vicino al primo scompartimento) aveva collocato le due borse. Le aveva sistemate in posizione perpendicolare rispetto all’asse del corridoio in modo tale che sporgevano poco. Tutte qui, nella sostanza, le dichiarazioni della donna che 1870 del fasc. XIII).
In conseguenza di affermazioni del genere la Procura della Repubblica di Bologna rimetteva agli atti al corrispondente ufficio di Firenze per ragioni di competenza territoriale, sulla base del rilievo che il luogo commesso reato (di strage) aveva individuato non con riguardo al momento dell’esplosione ma a quello in cui “la persona descritta dalla teste -da identificarsi con certezza nell’esecutore materiale dell’attentato- deposita alla stazione di S. Maria Novella due borse sull’apposito supporto del vagone interessato dalla esplosione.” I primi accertamenti volti ad individuare i responsabili del grave fatto si muovevano in varie direzioni. Ma erano 3-4 le circostanze che suscitavano più delle altre l’attensione degli inquirenti e li inducevano ad indirizzare le indagini verso ben precise direzioni. Sin dal giorno immediatamente successivo all’attentato si aveva notizia che un ex agente della Polizia di Stato, tale Esposito Carmine, già in servizio presso la Questura di Napoli, diversi giorni prima del 23.12.84 aveva preannunziato a funzionari di quella Questura l’imminente verificarsi di un grave fatto ai danni di un convoglio ferroviario partente dalla stazione di Napoli. Tre le tante rivendicazioni pervenute ad organi di informazione e ad uffici di polizia, poi, tutte sostanzialmente prive di una qualche credibilità, due offrivano spunti di riflessione; una prima, effettuata alle ore 16,30 del 24 dicembre all’ANSA di Milano da parte di un uomo con accento siciliano, secondo la quale la strage non doveva essere considerata “una trama politica” ma un fatto “di mafia” e con la precisazione che non si era trattato di una bomba a tempo ma di una “bomba telecomandata”; una seconda, giunta alle ore 11,10 del giorno successivo al centralino milanese del Corriere della Sera con la quale l’anonimo interlocutore sosteneva testualmente: “la bomba non è stata messa a Firenze ma a Roma. Era fatta con polvere speciale, non di tritolo, da esponenti della mafia per il fatto della droga.” Questo secondo episodio aveva un seguito nel senso che l’autore della telefonata invitava un giornalista del quotidiano milanese ad un incontro e fissava un appuntamento per le ore 22,00 del giorno successivo presso la stazione ferroviaria di Firenze. L’appuntamento aveva luogo ed in tale circostanza lo sconosciuto ribadiva al funzionario della Digos di Firenze, andato al posto del giornalista, che la bomba non era stata collocata a Firenze ma a Roma; la stessa era costituita “da T4 con una aggiunta di gelignite” e che l’innesco “era avvenuto a circa 200 dal luogo dell’esplosione, dalla parte bolognese, mediante un congegno ad orologeria a distanza con ritardo elettronico.” Aggiungeva, poi, che l’iniziativa era partita “dalla mafia, dalla ndrangheta e dai politici perché per i loro traffici di droga avevano avuto fastidi dalla polizia.”
Vi erano, ancora, le affermazioni fatte dal G.I. di Palermo, Dottor Giovanni Falcone, al Questore di quella stessa città, Dottor Lazzerini, sulle paure a lui espresse dal noto pentito della mafia Tommaso Buscetta; paure, manifestate prima del natale 1984, che sarebbe successo qualcosa di grosso per l’ intenzione della mafia di distogliere con qualche fatto (ovviamente di particolare gravità) l’attenzione delle forze di polizia (v. pag.7 del rapporto in data 15.3.85 del Questore Lazzarini). Da ultimo, i sequestri avvenuti i 29.3.85, presso l’abitazione di via Albricci n. 13, Roma, di certo Fiorini Virgilio, ed l’11.5.85, presso il casale di Poggio San Lorenzo (Rieti) già appartenuto a tale D’Alia Angelo, o meglio, alla moglie di questi, Ianniello Anna. Il primo. Nell’ambito di certe indagini curate dall’A.G. di Roma per fatti ancora del tutto indipendenti dall’attentato al treno rapido numero 904 del quale ci si sta occupando, la Squadra Mobile di Roma giungeva all’abitazione del già indicato Fiorini e qui rinveniva, tra le altre cose, “due scatole contenenti due valigette con apparati ricetrasmittenti” (v. verbale di perquisizione e sequestro del 29.3.85). Come spiegavano una prima relazione a carattere preliminare, disposta lo stesso giorno del rinvenimento, ed una seconda relazione disposta il 30.7.85 dall’A.G. Di Firenze e depositata il 6 novembre successivo, si trattava di due serie di congegni, indipendenti tra di loro, ma simili per concezione, realizzazione e possibili impieghi. Fatta eccezione per alcune differenze, di marginale importanza ai fini che qui interessano, sia la prima che la seconda serie erano costituite da:
-
una valigia (“A”), contenente un trasmettitore in grado di emettere sulla frequenza fissa di 26,995 MHz un segnale era modulato in AM con due toni di frequenza determinate (1162 e 1372 MHz per la prima serie; 1222 Hz e 1342 Hz per la seconda);
-
una scatola (“B”) contenente, un trasmettitore, di bassa potenza e capace di trasmettere, con comando manuale a pulsante, un segnale codificato (T1) sulla frequenza di 303,5 MHz (di 29,875Mhznella seconda serie),ed un ricevitore , in grado di ricevere sulla frequenza di 303,5 MHz (ancora di 29,875 MHz nella seconda serie) il segnale, pure codificato (R1), dall’apparecchio “C”;
-
cinque scatole (“C”; 6 nella seconda serie), ciascuna delle quali caratterizzata dalla presenza di: un ricevitore, in grado di accogliere il solo segnale della valigia “A”; un secondo ricevitore, capace di recepire il segnale (T1) emesso dal trasmettitore della scatola “B”; un trasmettitore in grado di emettere automaticamente, alla ricezione del segnale (T1) della scatola “B”, (ricevitore, quello di quest’ultima –come già scritto- in grado di ricevere detto segnale). Portava al rinvenimento di cose di tutt’altro genere, ma non di minore importanza, la perquisizione effettuata l’11.5.85 nel casale di Poggio San Lorenzo, già appartenuto a tale Ianniello Anna, moglie di D’Alia Angelo, come già scritto; perquisizione disposta dall’A.G. di Roma nell’ambito dello stesso procedimento al quale si è già fatto cenno. All’interno di un intercapedine, da poco realizzata in una cantina e ben mimetizzata da scaffalature con confezioni di vino, oltre ad armi, corte e lunghe; a munizioni; a sostanze stupefacenti; a cariche di esplosivo al tritolo ed a mine anticarro, venivano trovati:
-
due pani di esplosivo plastico Semtex H, l’uno del peso di Kg. 2,450, l’altro, soltanto parte di confezione intera, di Kg. 1,430;
-
nove detonatori elettrici con relativi reofili (fili elettrici per i collegamenti).
Inevitabili che venissero effettuati accertamenti peritali sia sui congegni di via Albricci,13, Roma, sia sugli esplosivi di Borgo San Lorenzo e poiché nell’un caso emergeva l’idoneità dei marchingegni ad attivare a distanza
detonatori come quelli sequestrati a Poggio San Lorenzo ed a determinare lo scoppio di cariche di esplosivo, come quelle sequestrate ancora a Poggio San Lorenzo, così come nell’altro la corrispondenza del Setex H con (alcune del) le sostanze esplodenti impiegate per l’attentato del 23.12.84, prendeva corpo una pista romana che conduceva ai personaggi ai quali attribuire la disponibilità dei congegni da un lato e dell’ esplosivo dall’altro; che conduceva, cioè e tra gli altri, a tali Calò Giuseppe, Rotolo Antonino, Cercola Guido e Di Agostino Franco nonché a certo Schaudinn Friedrich, risultato essere il realizzazione dei congegni. Il preannunzio della strage operato dall’Esposito indirizzava, invece ed ovviamente, a Napoli e dava impulso a certe indagini che in quella località già da prima dell’attentato stavano svolgendosi nei confronti dei soggetti di primo piano della malavita locale. Era così che, anche sulla base delle indicazioni offerte da certi Block Armando, Luongo Lucio e Ferraiuolo Mario, si riteneva di individuare in tali, tra gli altri, Missi Giuseppe, Pirozzi Giulio, Galeota Alfonso e Cardone Luigi gli ispiratori partenopei dell’attentato. Accusati dei delitti di banda armata (art.306 cp.), di attentato per finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico (art.280 cp.), di strage (art.285cp.) e dei reati satelliti in tema di esplosivo, Calò, Cercola, Rotolo, Di Agostino, Schaudinn, Missi, Pirozzi, Galeota e Cardone si discolpavano variamente, asserendo di essere del tutto estranei ai fatti loro addebitati. Il G.I. non riteneva sufficientemente convincenti, tuttavia, le giustificazioni addotte e rinviava al giudizio di questa Corte gli imputati appena detti in ordine a tutti i reati loro contestati. Disponeva il rinvio a giudizio anche del Luongo, per il delitto di detenzione e porto di esplosivo (in relazione al quale l’imputato si era reso sostanzialmente confesso), e dell’Esposito per il delitto di favoreggiamento personale (per una panoramica completa di tutti gli imputati e di tutte le imputazioni nonché delle decisioni del G.I. sulle singole posizioni, v. sentenza-ordinanza del 3.11.87). La fase del dibattimento aveva inizio il 4.10.89 ed a questa udienza i difensori degli imputati sollevavano le prime questioni procedurali. La prima ad essere proposta –ma era già stata sollevata in fase istruttoria, ricevendo risposta negativa- era attinente alla competenza per territorio di questa Corte.
Traendo spunto dalle supposte difformità delle dichiarazioni rese dalla Gallinaro il giorno 8.1.85 rispetto alle dichiarazioni da lei stessa fatte il 27 dicembre precedente e rispetto alle conclusioni dei periti d’ufficio sulla presunta ubicazione della carica esplodente, sostenevano non potersi fare affidamento sulle indicazioni della Gallinaro ai fini della individuazione del luogo del commesso reato. Sollecitavano, quindi, declaratoria di incompetenza, con tutte le conseguenze del caso. Va da sé che questa Corte non modifica in questa sede l’orientamento espresso con l’ordinanza (di rigetto dell’eccezione) del 4.10.88. E non lo modifica perché non vi sono ragioni valide per farlo. È ben vero che nel corso del primo esame la Gallinaro ha affermato che lo sconosciuto viaggiatore con i due borsoni ha collocato questi sulla griglia portapacchi del corridoio “appena imboccato lo stesso, per tanto vicino al primo scompartimento”, laddove a qualche giorno di distanza ha sostenuto che l’uomo si trovava “dopo il primo scompartimento e non in corrispondenza dell’ingresso del terzo scompartimento”; è altrettanto vero, tuttavia, che tra le due a affermazioni non esiste affatto quel “contrasto profondo e insanabile” che ritiene di ravvisare la difesa degli imputati: la seconda costituisce semplicemente precisazione della prima, posto che dire “vicino al primo scompartimento” non è lo stesso che sostenere “davanti al primo scompartimento” e che chi si trova “dopo il primo scompartimento” e non ancora in corrispondenza del terzo sta inevitabilmente “vicino” al primo! Senza tener conto del fatto che la Gallinaro non aveva sul momento un metro con il quale misurare al millimetro la distanza del viaggiatore dall’inizio del corridoio e che, se anche l’ avesse avuto, non aveva motivo di usarlo! Senza dire ancora che in occasione del primo esame la teste, come è naturale che avvenisse, nulla di più e di diverso ha inteso fare che offrire una indicazione generica sull’ubicazione dei due borsoni, volendo genericamente far capire che lo sconosciuto si trovava sostanzialmente nel primo tratto del corridoio e che in quel punto (non al centro o al termine del corridoio, dopo averlo percorso tutto o in parte) aveva sistemato i suoi due bagagli. Nel corso del secondo esame, che se non vuole essere la banale ed inutile ripetizione del primo deve portare a
precisione sempre maggiore, ha chiarito il suo pensiero, con una esattezza che non può che essere quella di chi, in viaggio per i propri affari su di un treno, osserva la condotta altrui solo casualmente e distrattamente e non se ne interessa come di un fatto di particolare importanza! Da tener presente che, a parte la stranezza del collocare i borsoni sulla griglia portapacchi del corridoio, là dove ben avrebbero potuto esser posti all’interno di uno degli scompartimenti, dove erano in quel momento posti a sedere, la vista su di un treno di un viaggiatore, per quanto normale, strano o stravagante questi possa apparire, non è circostanza eccezionale che possa suscitare curiosità particolari! In definitiva, dalle dichiarazioni della Gallinaro emerge il dato di fondo, assolutamente insuperabile, di un uomo che colloca due borsoni nel tratto iniziale del corridoio, e non è privo di significato che i periti individuino il punto esatto dell’esplosione in corrispondenza del divisorio esistente tra il primo e il secondo scompartimento! Bisogna dir dell’altro sul fatto che il divisorio tra il primo e il secondo scompartimento è “vicino” al primo scompartimento e che chi si trova “dopo il primo scompartimento e non in corrispondenza del terzo” fatalmente viene a trovarsi nell’immediata vicinanza del divisorio tra il primo e il secondo scompartimento?!
Come si faccia, poi, a ravvisare “contrasto profondo e insanabile” tra la Gallinaro, che afferma come le due borse fossero in posizione perpendicolare rispetto all’asse del corridoio e sporgevano “poco” dalla griglia portapacchi, ed i periti, secondo la cui ricostruzione dei fatti soltanto teorica i due bagagli erano orientati in senso trasversale rispetto alla griglia quindi debordavano “alquanto”, è davvero un mistero! Detto in maniera e con una terminologia differenti, non si riferiscono ad un posizionamento identico dei bagagli, sulla griglia, le indicazioni della Gallinaro e dei periti!? Perpendicolarmente all’asse del corridoio non è dire la stessa cosa che trasversalmente alla griglia, e cioè, visto che questa ha lo stesso andamento del corridoio, trasversalmente al corridoio stesso?! E non c’è il rischio di baloccarsi ancora una volta con le parole allorché si sottilizza sulla diversità tra “poco” e “alquanto”?! Non si va per caso incontro a questo pericolo, soprattutto se si pensa che Gallinaro da un lato e periti dall’altro, più che soffermarsi sull’entità esatta della sporgenza dei due borsoni dalla griglia (posto che nessuno di loro ha avuto la possibilità di controllare al cm) hanno inteso far capire nella sostanza che le due borse erano più lunghe di quanto fosse ampia la griglia?!
Del resto ed argomentando per assurdo, se si volesse sostenere che nel viaggiatore con i borsoni, visto e descritto dalla Gallinaro non deve individuarsi l’ attentatore che ha collocato sulla griglia portapacchi di quella carrozza la carica poi effettivamente esplosa il 23.12.84, bisognerebbe ipotizzare altri bagagli collocati in quel preciso punto. La qual cosa non è seriamente proponibile alla luce delle affermazioni della Gallinaro. Ha sostenuto la teste che non le capitò di vedere nessuna altra persona oltre al viaggiatore con i due borsoni e nessun altro pacco su quel punto della griglia; e questo sin dalla partenza da Napoli fino all’arrivo del convoglio alla stazione di Firenze. Oppure bisogna dire che la Gallinaro non é credibile? E perché mai? Per quale misteriosa ragione sin dal primissimo esame a pochissimi giorni dal fatto avrebbe dovuto mentire? Ed allora, posto che non vi sono motivi seri per disattendere la Gallinaro allorché rende queste dichiarazioni, se non l’uomo da lei descritto, chi altri ha collocato in quel preciso punto, quel giorno, la carica esplosiva? Quali altri involucri l’hanno contenuta? Bene ha operato, dunque, questa Corte nel rigettare l’eccezione di incompetenza, posto che nel caso dei reati di attentato, come quelli in contestazione, il luogo
di commissione degli stessi, che costituisce criterio ai fini della competenza per territorio, va individuato con riguardo al compimento degli atti che pongono in pericolo la vita o l’incolumità di una persona. Altra questione di incompetenza per territorio veniva sollevata nell’interesse di Lungo. È fuor di discussione che la detenzione e il porto dell’esplosivo dei quali è chiamato a rispondere quest’ imputato sono stati commessi (imputazione alla mano) in quel di Napoli; è innegabile, tuttavia, che trattandosi dell’esplosivo che sarebbe servito per realizzare l’attentato al treno rapido numero 904, la posizione del Lungo è da ritenere strettamente collegata alle imputazioni di strage e di attentato mosse agli altri prevenuti. Va da sé, pertanto, che correttamente questa Corte ha fatto richiamo al disposto di cui all’art. 45 n. 4 cpp. per rigettare l’eccezione proposta, dovendosi ravvisare nel caso in esame una ipotesi di connessione probatoria. Era sollevato problema, inoltre, in merito alla sottoposta inadeguatezza del termine concesso dal G.I. al momento del deposito degli atti. A parte l’insindacabilità di tale termine (a norma dell’art. 372 cpp.) ed a prescindere dal rilievo che un periodo di tempo che va dal 20 giugno al 30 settembre, ferie o non ferie, deve ritenersi ben adeguato, anche perché ciascun difensore è chiamato ad occuparsi non più che della posizione del suo o dei suoi assistiti, e non del processo nella sua interezza, vi è da constatare che sono state depositate memorie difensive che dimostrano esse stesse, per la loro ampiezza, come i difensori abbiano beneficiato in concreto di termini più che adeguati per l’esame e l’approfondimento delle emergenze processuali. È ben vero, poi, che il difensore del luogo usufruisce, in via di fatto, di un termine maggiore rispetto al difensore di altro foro, ma questa diversità, una volta detto che il termine è da ritenere congruo nella sua consistenza oggettiva, non può dar luogo a nessuna conseguenza. In definitiva, non potendosi dire che il diritto di difesa, il cui esercizio il legislatore ha inteso tutelare, non è stato in concreto fatto valere per inadeguatezza del termine, bene ha fatto questa Corte, con l’ordinanza della 4.10.88, a respingere l’eccezione. Ad esito dello stesso segno conducevano altre eccezioni sollevate nell’interesse degli imputati; questioni in relazione alle quali è sufficiente rinviare alla già ricordata ordinanza del 4.10.88, non ravvisandosi ragioni per soffermarsi ulteriormente, in questa sede, su problemi non particolarmente complessi e sui quali questa Corte ritiene di avere espresso più che adeguatamente il suo pensiero. Alla successiva udienza del 2.11.88 venivano sollevate altre eccezioni ed avanzate numerose istanze istruttorie. La richiesta di sospensione di questo procedimento per consentire la riunione con quello a carico di Abbatangelo Massimo, sostanzialmente per gli stessi fatti al giudizio di questa Corte ed ancora nella fase della istruzione formale, veniva respinta non perché astrattamente inopportuna la trattazione unitaria della posizione di tutti i protagonisti della vicenda traente origine dall’attentato del 23.12.84, ma perché la sospensione avrebbe ritardato la trattazione di questo procedimento con grave pregiudizio per l’esigenza di celerità processuale e soprattutto per quegli imputati in stato di detenzione che nutrono la legittima aspettativa di vedere definita in maniera sollecita la loro posizione. Senza dire della inutilità della sospensione nel caso di mancato rinvio a giudizio dell’ Abbatangelo! Questa Corte valutata in termini positivi, invece, la richiesta di acquisire agli atti di questo processo gli atti del procedimento Abbatangelo, (ovviamente soltanto di quelli che non hanno ne facevano già parte e nei limiti del segreto istruttorio), e di escutere lo stesso Abbatangelo: trattandosi, come già scritto, degli stessi fatti, non poteva che essere ritenuta utile, ai fini della loro ricostruzione e dell’accertamento della verità, la conoscenza di emergenze processuali eventualmente nuove e l’interrogatorio di uno dei protagonisti processuali della vicenda. La proposta di ripetere integralmente le perizie esplosivistiche, anche in vista di accertamenti sui punti non presi in esame dai primi periti, non veniva accolta vuoi perché priva di concreta utilità (la presenza di piombo, che avrebbe dovuto essere oggetto di nuova ricerca, risultava già accertata dalle prime indagini); vuoi perché i primi accertamenti peritali avevano dato risposta più che esauriente, ad avviso di questa Corte, ai problemi che la difesa riteneva neppure presi in esame. Tuttavia, nella persuasione che nel corso del dibattimento avrebbero potuto emergere nuove circostanze, meritevoli di approfondimento tecnico-scientifico, questa Corte disponeva la comparazione dei periti a chiarimento. Si discuteva pure, nel corso della solita udienza del 2.11.89, di una intervista rilasciata dallo Shaudinn a giornalista della RAI e di un viaggio che la figlia di questi imputato avrebbe fatto lo stesso giorno della strage; se ne discuteva per richiedere l’acquisizione della videocassetta contenente l’intervista e del biglietto ferroviario comprovante il viaggio. Questa corte non aderiva alle istanze appena dette ritenendo l’una (la videocassetta) e l’altro (il biglietto ferroviario) privi di una qualche rilevanza processuale, se non, come nel caso dell’intervista, affermazioni extra processuali di provenienza di un imputato non suscettibili di una seria valutazione probatoria. Ancora lo Schaudinn veniva chiamato in causa del difensore di Calò in relazione alle dichiarazioni da lui rese al vice ispettore Tonti; Vice ispettore del quale veniva sollecitata l’escussione a conferma di quanto appreso, per l’appunto, dallo Schaudinn. Muovendo dalla constatazione che quest’imputato in occasione dei suoi interrogatori alla A.G. ha pienamente confermato quanto detto al Tonti (v. interrogatorio reso al P.M. di Roma il 6.4.85 alle pag. 65 e segg. fasc. LXXXVI), previa integrale lettura delle dichiarazioni rese a questi, questa Corte riteneva superfluo l’esame del vice ispettore. Senza dire che se si fosse voluto affermare che il Tonti non poteva assumere lo Schaudinn, l’esame del vice ispettore sul contenuto di un atto nullo avrebbe avuto senso ancora minore!
Fiorini Virgilio e il suo esame, pure proposto dalla difesa del Calò. Astrattamente non è da gettare l’utilità di ascoltare dal vivo uno dei protagonisti della vicenda processuale della quale si occupa questa Corte.
Nel concreto, però, questa possibilità viene impedita dal codice di rito: imputato degli stessi reati degli altri, il Fiorini è stato prosciolto dal G.I. (in istruttoria per l’appunto, e non “in giudizio”) con la formula del fatto non commesso con la conseguenza di non poter essere assunto in questo procedimento per il divieto opposto dagli artt. 348, comma terzo, e 465, comma secondo, cpp..A norma dell’appena richiamato art.465, comma secondo, cpp.,delle dichiarazioni rese dal Fiorini può soltanto darsi lettura. Pure respinte, ed ancora oggi da rigettare (stavolta per ragioni di merito), la richiesta di escludere in qualità di testi i congiunti di Vastarella Abramo, una delle vittime della strage e persona che, secondo una certa tesi affacciatasi al processo, sarebbe stata all’origine dell’esplosione per via di certi “botti” che da Napoli stava portando a Milano in occasione della festività di fine anno.
I periti di ufficio hanno escluso il maniera categoria la riconducibilità dell’esplosione a fatti come quelli addebitabili (a torto o a ragione, poco importa sul momento) al Vastarella e poichè le argomentazioni peritali sul punto sono più che convincenti per svariati motivi (quelli che si avrà occasione di esaminare nel prosieguo di questa motivazione) la richiesta di ascoltare i congiunti di questa povera vittima su una circostanza che, se anche vera, non riveste nessuna importanza ai fini della strage della quale ci si sta occupando, giustamente è stata respinta e continua ad essere rigettata da questa Corte. Nell’ottica di arricchire il processo di ogni e qualsiasi acquisizione che contribuisca utilmente ad accertare i fatti e ad individuare le eventuali responsabilità, questa Corte non rifiutava invece di disporre l’esame testimoniale di Pepe Leonardo e di Pepe Claudio (a proposito di una telefonata di rivendicazione dell’attentato al rapido n.904 fatta dalla loro abitazione);
L’acquisizione degli atti del processo di varie sentenze emesse in procedimenti aventi una qualche attinenza con gli imputati di questo (sentenze meglio indicate nell’ordinanza di questa Corte); l’acquisizione del fascicolo riguardante la misura di sicurezza imposta al Calò dal tribunale di Palermo il 14.1.85; l’esame di Falleni Renzo, Bruni Giovanni e Lepore Giuseppe a proposito di un tal convincimento che avrebbero maturato sulla strage del 24.12.84 apprendendone attraverso la stampa e la televisione; l’acquisizione al processo di parte delle dichiarazioni rese al G.I. di Firenze e da Lo Puzzo Filippo, trattandosi di affermazioni fatte nel processo Abbatangelo suscettibili di valutazione anche in questo, la convocazione di tal Cassigoli Adolfo, che il 24.12.84 mentre si trovava alla stazione di Santa Maria Novella di questa città, avrebbe visto dei movimenti sospetti attorno al treno oggetto dell’attentato, almeno a leggere la lettera inviata a questa Corte. Altre richieste non venivano accolte: l’acquisizione dell’originale dell’agenda trovata e sequestrata nella camera del Calò in via Tito Livio in Roma (per le considerazioni sul punto che verranno svolte in altra parte di questa sentenza, alle quali si rinvia); l’acquisizione di verbali di dibattimento di alcuni processi riguardanti il Calò e addirittura di tutti gli atti del c.d. maxi processo celebratosi innanzi alla Corte di Assise di Palermo, definito in primo grado con la sentenza del 16.12.87 (essendo del tutto irrilevante prender cognizione di questi avvenimenti, in aggiunta alla sentenza già destinata a far parte degli atti di questo processo; e rientrando nelle possibilità del difensore, nel caso ne ravvisi per una qualche ragione la necessità, di attivarsi per produrli in tutto o in parte); l’acquisizione di notizie sull’inizio e sulla durata della carcerazione patita da Alberti Gerlardo (per l’irrilevanza di tali informazioni ai fini del decidere); l’assunzione di altre notizie sulle condizioni metereologiche nella zona di Vernio il giorno e l’ora dell’attentato (potendosi le stesse facilmente ipotizzare); la rinnovazione dell’esperimento già svolto dai periti (per l’inconcludenza dello stesso ai fini dell’accertamento del criterio di individuazione del convoglio in transito); l’assunzione di notizie sull’esistenza di contenzioso internazionale in materia di rilascio, sostituzione ed espulsione di cittadini stranieri detenuti nel nostro paese oppure sull’esito avuto nella Repubblica Federale di Germania dal procedimento istaurato nei confronti dello Schaudinn per gli stessi fatti all’origine di questo procedimento ( per l’irrilevanza dell’indagine quando non per l’impossibilità da parte di questa Corte di procedere ad accertamenti del genere); la declaratoria di nullità dell’esame testimoniale reso da Sbarra Danilo il 14.1.88 al G.I. di Firenze (non essendo stato mai imputato, lo Sbarra, in questo o nel procedimento a carico dell’Abbatangelo ed essendo del tutto irrilevante che lo sia stato unitamente al Calò in processi per tutt’altri fatti); la non utilizzabilità delle dichiarazioni rese da Buscetta Tommaso e Contorno Salvatore in altro processo ma acquisite a questo a seguito di produzione del P.M. (posto che è regola generale l’utilizzabilità di atti di altri processi, che abbiano una rilevanza ai fini del decidere –e certamente quelle di Buscetta e di Contorno ne possiedono con riguardo ai fatti e agli imputati di questo procedimento- e posto che il problema della loro valutazione, in senso accusatorio o nell’altro, non incide sulla leggittimità dell’utilizzazione).
Da ultimo, e non certo per importanza dell’argomento, veniva posta la questione dell’ammissibilità delle parti civili, almeno di alcune di esse.
Va da sé che il problema non ha motivo di esistere per quei soggetti persone fisiche che hanno riportato danni materiali e morali dall’attentato, di talchè è superfluo ribadire in questa sede che i familiari delle vittime e i feriti hanno ben titolo di costituirsi parte civile nei confronti di coloro che risulteranno i responsabili, oltre che dei reati in contestazione, dei danni da questi loro cagionati. Qualche perplessità potrebbe sorgere a proposito delle persone giuridiche, Enti pubblici territoriali, che apparentemente sembrerebbe non aver sofferto nessun genere di danno, né materiale né morale.
Intanto in relazione al danno materiale di alcuni di questi è varo esattamente il contrario, dal momento che Enti come le Ferrovie dello Stato, il Ministro per conseguenze pregiudizievoli dall’attentato, alcuni di entità economica addirittura già documentata. Per tutti poi, e sotto lo specifico angolo di valutazione del danno morale, bisogna tener presente che la presenza sul territorio di una banda armata e il compimento di un attentato-strage, con tanto di vittime ed un numero enorme di feriti, determinano indiscutibilmente una caduta di prestigio e di immagine in quegli Enti cui istituzionalmente è demandato di assicurare l’ordinato svolgimento della vita sociale. Si tratta di un danno non patrimoniale, conseguente in maniera diretta ed immediata dai fatti di banda armata, attentato e strage, da ritenere sicuramente suscettibile di risarcimento e come tale azionabile in giudizio. Non è contestabile infatti, che agli Enti pubblici territoriali è riconosciuto l’interesse alla tutela dei beni che la norma penale protegge, con la conseguenza che ad essi spetta la legittimazione di far valere l’eventuale danno (patrimoniale come) non patrimoniale prodotto dalla lesione di detti interessi.
Considerazioni ancor più semplici valgono per l’Associazione familiari delle vittime, dal momento che a questa Associazione deve riconoscersi la titolarità degli interessi protetti e sanzionati in sede penale attraverso la previsione di reati –quelli in contestazione- che oltre ad incidere su posizioni soggettive particolari toccano interessi organizzati che sono intesi al rispetto di regole di condotta. Nel corso delle numerose successive udienze avevano luogo l’interrogatorio degli imputati presenti (ciascuno dei quali si discolpava nel modo che si avrà occasione di riferire nel prosieguo di questa motivazione) e l’escussione dei testimoni. Venivano poste e risolte da questa Corte altre questioni. Per limitarsi a quelle di maggior rilievo:
-l’8.11.88 per la sottoposizione del Luongo a perizia psichiatrica (ma un accertamento del genere, che deve aver riguardo esclusivamente all’epoca del reato in contestazione oppure al momento della celebrazione del processo, non appariva giustificato sotto il primo profilo non essendo emerso dagli atti, ed in particolare dalla lettura della consulenza di parte prodotta dall’udienza, che Luongo fosse affetto, a tutto concedere, da nulla di diverso che da generiche ed irrilevanti forme nevrotiche e di disadattamento sociale e non dunque da vera e propria infermità mentale; sotto il secondo profilo, perché il Luongo mostrava di essere soggetto perfettamente lucido e coerente, razionale nei suoi atteggiamenti ed orientato alla perfezione nel tempo e nello spazio, e questo in perfetta sintonia peraltro, con l’esito dell’esame neurologico cui il Luongo era stato sottoposto durante la sua detenzione –v.sul punto consulenza prodotta);
Il 9.11.88 per lo svolgimento di indagini sul libanese chiamato in causa dal Cercola (e riteneva questa Corte, salvo far ritorno sul punto, che accertamenti in questa direzione non avrebbero condotto a nessun risultato per l’impossibilità di identificare la riconducibilità al libanese, quando anche l’esistenza di soggetto con nome fornito da ultimo dal Cercola fosse stata riscontrata, della condotta attribuitagli dal Cercola medesimo);
L’ 11.11.88 per accertamenti sulla persona di tale Mazzarella e sulla eventuale detenzione di questi presso il carcere di Poggioreale in Napoli (accertamenti disposti);
Il 12.1.89 per lo stralcio della posizione del Calò (perché mai se il dibattimento innanzi a questa Corte era previsto per giorni della settimana diversi dal dibattimento innanzi alla Corte di Assise di primo grado di Palermo, al quale Calò era pure interessato?);
Il successivo 13.1.89 per il riesame del teste-imputato Misso Paolo (le cui dichiarazioni erano state date per lette all’udienza del 13.12.88 e che non vi era motivo di ricitare non essendo emerso nel frattempo alcunché che ne giustificasse la riconvocazione);
Il 14.1.89 per l’effettuazione di nuovi accertamenti tecnici e per la ripetizione dell’esperimento giudiziale già svolto (e questa Corte giudicava i primi iutili, se non superati dalle delucidazioni offerte dai periti convocati a chiarimento, e l’effettuazione del secondo superfluo, nulla essendo emerso per giustificarlo);
Il 26.1.89 sulla produzione di atti del processo Abbatangelo, fatta dal P.M. (produzione da non potersi ritenere men che legittima a norma dell’art. 144 bis cpp, trattandosi di atti di procedimento separato nei confronti di imputato dei medesimi reati);
Lo stesso giorno 26.1.89 su presunte nullità istruttorie traenti origine dalle dichiarazioni di Gamberale Antonio (da farsi valere, eventualmente, non in questo ma nel procedimento Abbatangelo nel cui ambito il Gamberale ha reso le dichiarazioni ed al cui interno possono essersi verificate le nullità dedotte); Ancora il 26.1.89 sulla richiesta di esame dei consulenti tecnici di parte (da non potersi accogliere, non avendo prestato, detti consulenti, il loro ufficio);
Il 28.1.89 a proposito dell’impossibilità da parte dei difensori di prendere visione degli atti del processo Abbatangelo, giusta ordinanza autorizzava di questa Corte dell’26 gennaio precedente (ma detta impossibilità, vera e documentata, non si traduceva nel concreto in pregiudizio alcuno, dal momento che questa Corte aveva inteso offrire ai difensori l’opportunità di esaminare gli atti prodotti dal P.M. ma contenenti parti “omissate”, nel presupposto che la formula “omissis” fosse stata tolta, in tutto o in parte, dal G.I. con il deposito degli atti; e visto, invece, che detti “omissis” erano stati integralmente confermati, con la conseguenza che i difensori non hanno potuto esaminare presso il G.I. del procedimento Abbatangelo quegli stessi atti che però avevano già avuto l’opportunità di consultare trattandosi degli atti prodotti dal P.M.);
il 2.2.89 per la riammissione del Misso, allontanato dall’aula di udienza a norma dell’art. 434 cpp., per la prosecuzione del confronto col Gamberale (riammissione impedito da quanto disposto tassativamente dal citato articolo 434cpp.);
lo stesso giorno 2.2.89 sul mancato avviso di uno dei difensori del Calo’ dell’ordinanza di questa Corte, rectius del Presidente di questa Corte (omissione da ritenersi del tutto irrilevante trattandosi di provvedimento di semplice rinvio di una udienza peraltro comunicato ritualmente e tempestivamente all’altro difensore dello stesso Calò);
ancora il 2.2.89 per lo stralcio della posizione del Calo’ (da non potersi effettuare mancando valide ragioni per operarlo);
sempre 2.2.89 sulla notifica del provvedimento di rinvio dell’udienza del Calò (da non potersi ritenere mancante dovendosi considerare notificata l’ordinanza attraverso l’ordine di traduzione e rimanendo sanata, l’eventuale irregolarità della citazione, dall’avvenuta traduzione del Calò innanzi a questa Corte e dal fatto di aver reso lo stesso Calò ampio interrogatorio, con questo facendo conseguire all’atto la scopo di consentire all’imputato di prendere parte attiva all’udienza di rinvio);
ancora il 2.2.89 per la denuncia di conflitto tra questo ed il procedimento nei confronti di Abbatangelo (che questa Corte affrontava da un lato disponendo la trasmissione della denunzia e dei relativi allegati alla Corte di Cassazione; dall’altro disponendo la prosecuzione del dibattimento, vista la palese infondatezza del conflitto in relazione al processo contro il solo Abbatangelo, che non è imputato innanzi a questa Corte).
All’udienza del 6.2.89 aveva inizio la discussione con l’intervento dei difensori di parte civile. Dopo le conclusioni di questi, nel senso riepilogato nei fogli allegati al verbale di udienza, prendevano parola il P.M. ed i difensori degli imputati che concludevano, a loro volta, così come sintetizzato negli stessi verbali. All’udienza del 22.2.89 questa Corte riteneva la causa in decisione e la decideva per i motivi esposti qui di seguito, come dal dispositivo letto il 25 febbraio successivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
-
Questa Corte è chiamata a pronunciarsi su uno degli episodi più inquietanti del recente passato del nostro Paese e lo fa non con la presunzione di offrire una chiave di lettura unica e definitiva dei gravi fatti commessi quel 1984 e delle motivazioni culturali e/o politico-sociali che li hanno in qualche modo ispirati, ma con la consapevolezza di dover adempiere ad un preciso dovere; quella di ricostruire fatti reato commessi in quel periodo e di indicarne gli autori, di limiti delle emergenze probatorie: il tutto ai soli fini dell’applicazione della legge penale. Lontano dagli intendimenti di questa Corte, dunque, indugiare in indagini di altra natura, che non le sono propri, o di proporre rilievi che non abbiano stretta attinenza con le valutazioni tecnico giuridiche che le devono competere. Anche se la tentazione di esternare il disgusto e la ripugnanza per i gravi fatti commessi e la cinica perversione dei loro autori è fortissima!
-
La ricostruzione dei fatti verificatisi nell’autunno inverno del 1984 deve prendere inevitabilmente l’avvio dall’esplosione verificatasi il 23 dicembre di quello stesso anno e degli accertamenti a carattere tecnico scientifico compiuti in relazione ad essa e in relazione ai ritrovamenti del 29.3.85 in Roma ed l’11 maggio dello stesso anno a Poggio San Lorenzo. E’ la strada seguita dall’A.G. inquirente, e d’altra parte è l’unica perché, al di là delle convinzioni soggettive e di sempre possibili suggestioni, le conclusioni raggiunte dai periti sulla base di indagini non altro che tecnico scientifiche costituiscono un punto di riferimento oggettivo e difficilmente contestabile sul piano della perfetta rispondenza a dati di fatto. Orbene. È una prima circostanza sulla quale non è permesso avere dubbi che a provocare l’esplosione quel 23.12.84 è stata la carica sistemata dall’ignoto attentatore sulla griglia portapacchi della carrozza di seconda classe. Le dichiarazioni della teste Gallinaro e le indagini peritali sul punto, di natura balistica e medico legale, fanno fede di ciò in una maniera che l’attendibilità intrinseca di ciascuna delle tre fonti di prova e la prova della convergenza delle stesse, l’una completamente autonoma ed indipendente dalle altre, rendono assolutamente insuperabile. Per la verità da parte della difesa di alcuni imputati ci si è soffermati molto (verrebbe da scrivere troppo) sul punto per sostenere che la sola testimonianza della Gallinaro, caratterizzata da incertezza e per di più contraddetta irrimediabilmente dai periti, non varrebbe a dimostrare con sicurezza che all’origine dell’esplosione vi sono le due borse dell’ignoto. Sul punto questa Corte si è espressa in maniera esauriente in narrativa, esaminando la questione della competenza, né ritiene di dover tornare sull’argomento. A parte ogni altra considerazione, la inconcludente pretestuosità delle asserzioni difensive emerge con chiarezza dal rilievo seguente: se non che l’attentatore descritto dalla Gallinaro e i borsoni da questi sistemati sulla griglia, chi altri e quale altro esplosivo hanno provocato la strage, se nessun altro individuo è stato visto dalla Gallinaro da Napoli a Firenze in quel tratto di corridoio e nessun bagaglio su quella griglia? O si vuol concludere che la Gallinaro a tre soli giorni dall’attentato ha mentito per realizzare chissà quale sue misteriose trame accusatorie?! Oppure che esplosione non c’è stata quel 23.12.84?!
-
Si è scritto in narrativa che i periti chiamati ad accertare il tipo di esplosivo utilizzato per l’attentato del 23.12.84 hanno individuato nella pentrite, e nel T4, nella nitroglicerina e nel tritolo i componenti della carica e che, a loro avviso, la nitroglicerina ed il tritolo si spiegano facendo ricorso ai gelatinati; la pentrite ed il T4 ricorrendo all’esplosivo di fabbricazione Cecoslovacchia noto come semtex H. E’ da sottolineare subito che le conclusioni appena sintetizzate sono state formulate dai periti (6.5.85) ancora prima del ritrovamento dell’11.5.85 e con molte settimane di anticipo rispetto alle dichiarazioni di Lungo e Ferraiulo. Se ce ne fosse bisogno, la circostanza depone per l’attendibilità dell’operato dei periti, dei quali non può dirsi certo che hanno subito la suggestione, diretta o indiretta, di indicazioni probatorie non ancora emerse! In secondo luogo, e venendo al sequestro di Poggio San Lorenzo (11.5.85), non deve sfuggire che questo è stato operato nell’ambito di procedimento penale concernente tutt’altri fatti, rispetto all’attentato al rapido numero 904, con il che viene meno il sospetto (se mai lo si voglia nutrire) che si sia voluto pilotare in una qualche misura lo svolgimento delle indagini, indirizzando queste in una direzione piuttosto che in un’altra; Ed anzi, poiché da parte di taluno sono state fatte ripetute insinuazioni in questo senso, vale la pena richiamare l’attenzione sulle seguenti circostanze processuali che pure dovrebbero essere a tutti note: la perquisizione domiciliare nel casale di Poggio San Lorenzo è stata disposta non dall’A.G. di Firenze ma dal G.I. del tribunale di Roma, Dottor Viglietta, che il 10.5.85 ha emesso il relativo provvedimento n. 1614/85-A R.G.G.I. Trib. Roma nel processo a carico di Calò Giuseppe più altri; E’ stata la Questura di Firenze di sua iniziativa con due distinte note del 13 e del 14.5.85 ha inviato alla Procura della Repubblica di questa città (che indagava sull’attentato del dicembre dell’anno precedente) stralci dai quotidiani “la nazione”, “l’unità”, “la città”, “il corriere della sera” e “la repubblica” nei quali, dandosi notizia del ritrovamento dell’esplosivo in Poggio San Lorenzo, si avanzava l’ipotesi che questo fosse della stessa natura dell’esplosivo adoperato per la strage del treno rapido (v. pag.4 e segg. CXXII) soltanto a questo momento, e doverosamente, la Procura della Repubblica di Firenze ha chiesto alla Digos di questa stessa città di acquisire in copia i verbali del sequestro (v. nota del 13.5.85 alle pag.1 e segg. vol. XLIX);ed ancora una volta soltanto dopo la ricezione di questi e dei relativi allegati (in particolare la relazione di servizio redatta da sottufficiale artificiere della Questura di Roma) il Procuratore della Repubblica di Firenze ha avanzato richiesta formale (ex art.165 bis cpp.) al G.I. di Roma, Dottor Vglietta, di trasmissione di copia della perizia balistica espletata su materiale sequestrato nonché dei verbali delle dichiarazioni di Cerola e Schaudinn(v. pag.1 vol. LXXVI); L’esame di questi dati di fatto nella loro successione cronologica dimostra, insomma, che la c.d. pista romana si è affacciata a questo processo non per scelta aprioristica ed arbitraria del Procuratore della Repubblica di Firenze ma per la sopravvenienza di fatti totalmente estranei alla sua volontà; fatti che gli hanno doverosamente imposto di svolgere accertamenti in quella direzione. Venendo più da vicino ai reperti di Poggio San Lorenzo, di grande valore probatorio è la corrispondenza di uno dei tipi di esplosivo ipotizzato dai periti e l’esplosivo trovato l’11.5.85; e questo non solo con riguardo ai singoli componenti dello stesso(pentrite e T4) ma addirittura al prodotto dell’interno della cui composizione si trovano le due sostanze: il semtex H. Ma vi è di più e di particolarmente interessante. Hanno esposto i periti che di semtex H sono conosciuti cinque tipi, ciascuno dei quali differisce dagli altri per i contenuti percentuali della pentrite e del T4. In due tipi, convenzionalmente individuati con lettere A e B, è la prima a prevalere sul secondo (rispettivamente 73% contro 12% e 50% contro 35%) mentre negli altri tre tipi, anche questi indicati per convenzione con lettere (C D e E) il T4 supera in peso ed in percentuale la pentrite (rispettivamente 45% contro 40%; 60% contro 25% e 48% contro 37%; v. rapporto dei CC di Firenze e del 9.8.85 a c. 1960 del vol. 8 fasc. B). Ebbene, l’analisi chimica effettuata sui due pani di semtex H sequestrati ha permesso di stabilire che in questi la percentuale di pentrite è superiore a quella del T4 (45% contro 36% nel pane intero di kg. 2,450 e 74% contro 15% nel pane di Kg. 1,430), laddove nella miscela utilizzata per l’attentato del dicembre 1984 è stato accertato una presenza percentualmente maggiore di pentrite rispetto al T4 (v. punti 4 e 6 della perizia)! Questo dato è di particolarissima importanza ed assume rilievo ancora maggiore se si riflette che sono solo due tipi di semtex H su cinque presentano una prevalenza di pentrite sul T4 e che i pani di Poggio San Lorenzo hanno questa identica caratteristica, il più piccolo (e cioè quello che fa pensare ad un suo concreto impiego) in misura addirittura marcatissima! La conclusione da trarre da questo primo ordine di considerazioni non può che essere unica, e cioè che il semtex H rinvenuto a Poggio San Lorenzo (si badi, all’interno di una intercapedine scrupolosamente occultata) ricollega con elevatissimo grado di probabilità all’attentato al rapido numero 904 e che i responsabili della sua detenzione non possono ritenersi del tutto estranei allo stesso.
-
Cade a proposito a questo punto un rapido accenno alla tesi che chiama in causa il già ricordato Vastarella Abramo, una delle vittime della strage e persona nella quale, secondo questa ricostruzione, bisognerebbe individuare il responsabile dell’esplosione per via del suo carico di petardi che da Napoli stava trasportando a Milano per i festeggiamenti di fine anno. Ugualmente comprensibile che, muovendo da una relazione predisposta a pochissimi giorni dall’attentato da Ufficiali dell’Accademia di Livorno si sia cercato di richiamare l’attenzione su questa tesi perché se ne verificasse la fondatezza. Appare francamente di cattivo gusto, per non scriver peggio, che si sia ritornati e si sia insistito su quest’argomento anche dopo che si sono conosciute, per bocca degli stessi autori, la genesi e le caratteristiche della relazione e dopo i chiarimenti offerti in proposito dai periti. Ci si è insistito anche nel corso del dibattimento, come se nulla l’istruttoria già compiuta sul punto avesse suggerito! Non interessa in questa sede indagare per iniziativa di chi, con quali confessabili o incofessabili intendimenti, sulla base di quali sollecitazioni e via discorrendo Bruni Giovanni, Falleni Renzo e Lepore Giuseppe (questi sono i nomi dei tre ufficiali) si son trovati a mettere per iscritto (ognuno per la sua parte, neppure facilmente individuabile) ed a far pervenire all’A.G. inquirente la relazione sulla quale si discute. Preme osservare, invece, che la inconsistenza della riconducibilità dell’esplosione all’incolpevole Vastarella, vittima due volte di questa, emerge chiaramente dalle caratteristiche intrinseche dell’indagine, definita dagli stessi interessati nulla più che “una ipotesi”, “un’opinione estremamente affrettata”, elaborata (se non bastasse) sulla base di quanto potuto vedere in televisione ed apprendere dai giornali! (v. dichiarazioni Bruni e Falleni all’udienza del 22.12.88). Quale fondamento possa esser dato ad un accertamento del genere e quale l’utilità di insistervi ognuno può giudicare da sé! Se però taluno ritenesse di non essere ancora convinto della totale inattendibilità della tesi del Bruni e del Falleni basta rifletta che per effetti meccanici quali quelli riscontrati nella carrozza di seconda classe devastata dall’esplosione “ci sarebbero voluti dei quintali di fuochi d’artificio esplosi tutti contemporaneamente” (dep. Cabrino, perito di ufficio, all’udienza del 14.1.89)!! E si tralasciano, per brevità, altri rilievi di natura tecnica sulla diversa composizione dei fuochi d’artificio, sul conseguente diverso scenario che avrebbe lasciato la loro esplosione, sulle differenti caratteristiche di questa, sui residui che avrebbero dovuto rinvenirsi e che non sono stati trovati, e via dicendo.
-
Spunti di valutazione di particolare interesse offrono le osservazioni dei periti sul metodo di attivazione della carica nonché sui congegni ritrovati nell’abitazione del Fiorini in via Albricci n. 13 di Roma. Anche in questo caso non deve sfuggire che le conclusioni contenute negli elaborati del 6 e dell’8.5.85 sono state raggiunte indipendentemente dal ritrovamento di via Albricci. E’ ben vero che questo è avvenuto con oltre un mese di anticipo, ma è ugualmente incontestabile che i congegni sono rimasti estranei al processo per l’attentato al rapido n.904 ben oltre la data di deposito delle relazioni. Soltanto in epoca successiva, ed esattamente a partire dalla lettura delle dichiarazioni del Cercola e dello Schaudinn, vale a dire dall’ultima decade di maggio 1985, ci si è resi conto che potevano avere a che fare con la strage del 23.12.84. Rimane priva di concretezza, dunque, la paura che i periti abbiano potuto farsi condizionare dal conoscere l’esistenza e le particolari caratteristiche dei marchingegni, così come risulta privo di fondamento il sospetto che si siano volute orientare le indagini, sin dalle prime battute, verso questo o quei soggetti, in particolare verso i possessori dei congegni dei quali si discute. Da tener presente –come già detto in precedenza- che questi sono stati rinvenuti nell’ambito di altro procedimento e che sono confluiti in questo per circostanze si direbbe del tutto fortuite. Non deve dimenticarsi, poi, che nel prospettare le varie metodiche di attivazione della carica i periti, che si sono trovati soltanto nelle condizioni di ipotizzare il possibile sistema preferito dagli attentatori, si sono orientati verso meccanismi di temporizzazione chimici, chimico meccanici o meccanici, elettrici o elettronici non perché di impossibile realizzazione quello con comando a distanza attraverso impulso radio, ma per la minore complessità dei primi. Ciò non toglie, dunque, che attentatori più ‘raffinati’ oppure spinti da esigenze specifiche ben potevano avere impiegato sistema a comando radio per gli indiscutibili vantaggi (di questo) in fatto di sicurezza (per l’attentatore) e di riuscita dell’impresa criminale. Tanto poco non realizzabile era un sistema radio che il perito incaricato di sperimentare nel concreto la fattibilità di un congegno del genere ed il suo funzionamento con riguardo ad un treno in corsa non solo ha dato risposta positiva ai due quesiti, nei termini esposti in narrativa (e che non serve ripetere ancora una volta) ma ha rilevato(e questo invece è bene ribadirlo) che per realizzare un sistema come quello in esame “è sufficiente avere a disposizione un tecnico o un obbista sperimentatore, che abbia una certa dimestichezza con gli apparati ricetrasmittenti, (molto diffusi) usati nella banda dei privati in quella dei radioamatori molti dei quali già dotati di codifiche per chiamate selettive. Tali apparati, anche con codifiche sofisticate, vengono impostati o costruiti in Italia e distribuiti da molte ditte. Il tecnico che vuole realizzare un sistema di comando come quello descritto deve solo essere in grado di estrarre da un ricetrasmettitore funzionante il ricevitore e l’eventuale decodificatore senza fare danni, aggiungere il timer elettronico con relais che è di facile realizzazione, collegare le varie parti correttamente e provvedere all’alimentazione. In caso di difficoltà può sempre ricorrere a un specialista nel campo, facendo credere che il dispositivo serva per comandare a distanza l’apertura e la chiusura di un cancello o della porta di un garage, oppure l’accensione e spegnimento di un ponte radio a distanza o una sua caratteristica di funzionamento.”
-
Il panorama dei possibili rilievi giunge a significativa completezza con gli accertamenti sui congegni sequestrati al Fiorini. Il Procuratore della Repubblica di Firenze sulla base di una supposta ricollegabilità di questi all’attentato del dicembre 1984 si è posto il problema della funzione o delle funzioni tecniche in vista delle quali avrebbero potuto servire, cosicché il 30.7.85 ha affidato a periti di rispondere a quesiti che, per una migliore intelligenza delle risposte, vale la pena ricordare testualmente: “per l’ipotesi che le apparecchiature risultino idonee a provocare l’attivazione di detonatori ed il conseguente scoppio di cariche esplosive, stabiliscano i periti se tale idoneità si riscontri anche in relazione al materiale di cui al punto C) n. 2 (si tratta dell’esplosivo rinvenuto in Poggio San Lorenzo di Rieti); e in caso di riscontro positivo, illustrino i periti modalità e condizioni di utilizzo delle apparecchiature e dei materiali già descritti come detonatori, fili elettrici, esplosivi, mine, oltre che, eventualmente, dell’ulteriore corredo tecnico necessario”; “in caso di risposta positiva che precede e tenuto conto delle specifiche circostanze nelle quali è avvenuta l’esplosione sul treno rapido numero 904 Napoli Milano, quali illustrate nella relazione di perizia già depositata in data 6.5.85, determinino i periti se le apparecchiature in sequestro siano idonee, ed in caso positivo con quali modalità e condizioni di impiego, a provocare, in quelle stesse circostanze, l’attivazione di una carica esplosiva, con riferimento alle seguenti varianti: attentatore che agisca all’interno della galleria ovvero all’esterno di essa; attivazione della carica ritardata rispetto alla relativa manovra dell’attentatore, ovvero non ritardata”. Orbene, il complesso delle osservazioni proposte dai periti con l’elaborato scritto, le precisazioni offerte nel corso dell’udienza del 14.1.89 e soprattutto i risultati della verifica fatta con i congegni dei quali si discute dimostrano senza possibilità di dubbio che detti congegni altra finalità non avevano che quella di provocare esplosioni e che la scatola C mancante dalla prima serie, la sesta rispetto alle cinque rinvenute ed alle sei delle seconde serie, ha avuto la sua parte nell’attentato del 23.12.84.
-
In cosa consistano esattamente i congegni rinvenuti presso il Fiorini lo si è scritto in narrativa, riportando in sintesi la descrizione fattane dai primi periti. Dal punto di vista delle loro caratteristiche tecniche, che è l’aspetto che più interessa, deve ribadirsi che la scatola A conteneva un trasmettitore in grado di emettere un segnale codificato; che la scatola B era costituita dal trasmettitore per l’emissione di un impulso, anch’esso codificato, e di un ricevitore di conferma; la scatola C conteneva due ricevitori, un primo per il segnale proveniente da A ed un secondo per il segnale proveniente da B, e da un trasmettitore di conferma per la scatola B. Il collegamento tra A e C era in grado di stabilirsi per distanze da qualche centinaio di metri a qualche decina di chilometri mentre quello tra B e C per distanze da pochi a circa 80 metri; nell’uno come nell’altro caso dipendentemente, come ovvio, dalle caratteristiche dei luoghi, dalla eventuale presenza di ostacoli e dalla loro natura. La scatola C, una volta ricevuti i due segnali radio da A e da B, non importa in quale successione, era in grado di fornire una tensione di 12 volt per un qualsiasi utilizzatore capace di assorbire corrente fino ad alcuni ampere (v. la già richiamata perizia del 30.7.85 depositata il 6 novembre successivo). Tanto detto, di particolare interesse è la circostanza che le scatole A e B erano in grado di comunicare con la scatola C grazie a segnali codificati ed anzi che le prime due ‘comunicavano’ esclusivamente con la terza in virtù, per l’appunto, di tale codifica. Su questa caratteristica dei congegni i periti sono stati di una chiarezza e (nella sostanza) di una categoricità estreme: per come tecnicamente consegnate, ciascuna delle tre scatole non erano in grado di ricevere impulsi radio da altre fonti, se non in presenza di particolarissime e del tutto improbabili circostanze (v. per tutte, a questo proposito, le risposte date dai periti all’udienza del 14.1.89: “…io ritengo che sia molto, molto improbabile, l’eventualità di una interferenza perché ci vogliono quelle condizioni che ho detto!”) Tale eventualità era ugualmente da escludere, tuttavia, ipotizzando un loro uso sullo scenario dell’attentato, e ciò per l’assenza nella zona di impianti, apparecchiature o di quant’altro poteva costituire motivo di ricezione, da parte degli apparecchi, di segnali non desiderati: in nessun caso C avrebbe potuto essere attivata da impulsi diversi da quelli provenienti da A e B perché, tecnicamente congegnata per rispondere solo a queste ultime, molto difficilmente avrebbe potuto subire l’interferenza di altri segnali viste le condizioni concrete nelle quali bisogna ipotizzarla operante e cioè l’assenza di quelle particolarissime circostanze evidenziate dai periti (per maggiori dettagli tecnici a questo proposito vedi oltre alla perizia, le esaurientissime spiegazioni offerte dai periti all’udienza del 14.1.89). Men che mai, opinione degli esperti alla mano, avrebbero potuto costituire motivo di interferenza o di non funzionamento degli apparecchi le condizioni atmosferiche del momento; e questo per la potenza del segnale, risultata essere particolarmente elevata (v. soliti chiarimenti dei periti all’udienza del 14.1.89).
-
Viene a cadere così una prima serie di osservazione dei difensori degli imputati (dello Schaudinn in particolare) che tanto si sono battuti per sostenere che la scatola C, direttamente collegata all’esplosivo da far brillare, avrebbe potuto essere attivata da un qualche altro impulso tra i tanti che vagano nell’atmosfera. Come se, poi a ben riflettere, il vero problema fosse questo: cambia qualcosa per gli autori della strage –odierni imputati o poco importa adesso- se ad eccitare la scatola C, da loro collocata sul treno unitamente alla carica da far esplodere, è stato non l’impulso radio dato da loro stessi (o da complici) ma un segnale diverso, casualmente irradiato da altri e proveniente da altra fonte che non la loro!? Forse non risponderebbero ugualmente dei reati in contestazione se, predisposto il tutto a quello scopo, prima dell’attivazione della scatola A, per l’invio del segnale alla scatola C e la conseguente esplosione, quest’ultima viene eccitata da una qualche altro impulso?! In ogni caso alle perplessità sollevate dai difensori va data risposta negativa: perché in questo senso si sono espressi con fermezza i periti, sulla base di convincenti argomenti di assoluto rigore tecnico scientifico; che non possono essere disattesi per via di considerazioni di natura logica di non minore importanza. E cioè. Se le tre parti costituenti i congegni, A, B e C, non avessero avuto un linguaggio loro esclusivo, a cosa mai avrebbero potuto servire?! Qualunque sia l’uso che se ne voglia ipotizzare, lecito od illecito (ed anche uno di quelli prospettati dagli imputati) o persino banale, come l’azionare l’apertura e la chiusura di un garage, quale utilità concreta avrebbero avuto se un qualsiasi segnale avrebbe potuto interferire?! Se non avessero avuto la protezione di un codice?!
-
Altra serie di perplessità è stata sollevata dai difensori con riguardo all’idoneità dei congegni sequestrati a funzionare con un treno in corsa, anche relazione alle possibili, avverse condizioni atmosferiche del momento. Questa Corte non entra nel merito degli argomenti scientifici prospettati a sostegno della tesi dell’idoneità perché non vuol limitarsi a contrapporre a questi le osservazioni di segno contrario offerte dai periti. Ma soprattutto perché, volendo esprimere una convinzione propria, al di là del rispetto per chi, perito di ufficio e con interessi al di sopra delle parti, da altro non è motivato che dalla ricerca e dall’affermazione della verità, non può dimenticare i risultati della prova fatta con quelle stesse apparecchiature; prova con il treno che è stata soltanto una perché la stessa, dopo le tante altre effettuate nelle condizioni più varie con i singoli componenti del congegno e col congegno nel suo insieme, ha tranquillamente confermato quel che si supponeva già e già era emerso (v. in questo senso le dichiarazioni dei periti all’udienza del 14.1.89). Alla luce di tanto, come può sostenersi con ragionevolezza che i congegni sequestrati al Fiorini non erano in grado di funzionare con un treno in corsa se i periti, quegli stessi congegni provando su di un convoglio in transito sulla stessa tratta dell’attentato, hanno verificato che l’impulso partito dalla scatola A è bene in grado di raggiungere la scatola C, collocata sul Treno, e di provocare l’attivazione dell’accenditore ad essa collegato?! Perché mai aderire alla tesi difensiva, piuttosto che a quella dei periti, oppure ripetere la prova quando gli argomenti tecnico scientifici dei periti -che già da soli varrebbero a contrastare la tesi difensiva- godono della conferma di una verifica sperimentale, realizzata con tutte le garanzie della serietà del caso?! Verifica effettuata con gli stessi congegni sequestrati al Fiorini e negli stessi luoghi dell’attentato?! Senza dire delle perplessità che suscitano critiche all’operato dei periti fatte soltanto in dibattimento, quando i consulenti tecnici degli imputati in oltre tre anni, dal 19.10.85, data di effettuazione della verifica, al 26.9.88, data di scadenza del termine di cui all’articolo 325 cpp., non hanno sottoposto all’attenzione dell’Autorità procedente (per poi essere esaminata anche da questa Corte) la benché minima osservazione scritta!
-
Per completezza d’informazione e perché ci si possa render ben conto delle caratteristiche della prova non è superfluo ripercorrere lo svolgimento con le stesse, esaurienti parole del P.M. e dei periti: “le prove aveva luogo con tre modalità: a) attentatore operante all’interno della galleria ma non sul terreno; in tale ipotesi è possibile provocare l’esplosione solo da una distanza di 300-350 metri; b) attentatore che opera all’interno del treno: in tal caso la distanza utile è al massimo di 40 metri. Poiché un vagone ha una lunghezza di circa 25 metri, il comando può essere realizzato con sicurezza solo tra la valigia A e la scatola C intercorrono un solo vagone e pochi metri per parte; c)attentatore che opera stando all’esterno della galleria: la prova veniva effettuata sistemando, sul tetto di un auto, la valigia di tipo A e parcheggiando la vettura sulla strada che costeggia la recinzione metallica dell’area riservata alla stazione di Vernio a nord dell’edificio, in un punto dal quale, a parte diversi ostacoli, si poteva vedere quasi tutto il tratto di ferrovia che va dalla stazione di Vernio all’imbocco della Grande Galleria dell’Appennino. Venivano poi approntate due borse, di tipo analogo a quello presumibilmente impiegate nell’atto terroristico, contenenti la prima il materiale simulante una parte della carica esplosiva, la seconda la restante parte insieme a una scatola di tipo C cui era stato collegato un adeguato accenditore elettrico. Le borse venivano poi sistemate nello stesso modo in cui, verosimilmente, erano state collegate quelle utilizzate nell’attentato e, poco prima della partenza del treno, dal marciapiede adiacente, veniva impartito alla scatola C il comando di predisposizione che veniva correttamente ricevuto. Partito il treno, prima che esso raggiungesse la stazione di Vernio, veniva ricevuto dalla scatola C il comando definitivo impartito alla valigia e la scatola C provocava l’attivazione dell’accenditore ad essa collegato. Poiché il segnale era stato captato e correttamente ricevuto ad oltre 400 metri di distanza, nonostante gli ostacoli costituiti dal fabbricato e dai vari impianti di stazione che non rendevano ancora visibile il treno in arrivo, ‘si può senz’altro affermare, concludevano i periti, che una attentatore che avesse agito con le apparecchiature e nelle condizioni suddette ponendosi all’esterno della Grande Galleria dell’Appennino, avrebbe potuto senz’altro ottenere l’esplosione della carica, esplosione che sarebbe però avvenuta fuori dalla galleria’. Ove si fosse voluto provocare una attivazione ritardata, con conseguente esplosione all’interno della galleria, avrebbe dovuto essere inserito, tra i morsetti di uscita della scatola C e l’accenditore, un ritardatore elettronico regolato per un tempo tale da consentire al treno di raggiungere il punto ove avrebbe dovuto avvenire l’esplosione. I periti precisavano che tale dispositivo ritardatore avrebbe potuto essere facilmente aggiunto sia internamente che esternamente lungo il cavo che collega i due morsetti all’accenditore e che il ritardatore elettronico adatto avrebbe potuto essere realizzato con un ingombro complessivo di non più di 4 x 2 x 2 centimetri, con la possibilità di ottenere un ritardo a piacere che può raggiungere, con buona precisione, anche qualche decina di minuti” (pagg. da 99 a 103 della requisitoria scritta). Per la verità i difensori hanno posto in evidenza che i periti nell’effettuare l’ultima (e più significativa) delle tre prove si sono avvalsi di un segnale acustico; quello emesso dal treno “previo accordo… allo scopo di facilitare l’esperimento”(v.pag.6/8della perizia). Non è seriamente contestabile che i periti sono stati aiutati dal fischio del treno per la sua identificazione, laddove di simile accorgimento, vi è da supporre, non hanno potuto beneficiare gli attentatori. Non si vede, tuttavia, quale incidenza pratica possa avere questa circostanza ai fini della ricostruzione dei fatti e della conseguente individuazione delle responsabilità. E’ di intuitiva evidenza che l’attentato come quello ai danni del rapido n.904 ben avrebbe potuto realizzarsi con i congegni dei quali si tratta, anche senza segnale acustico da parte del convoglio preso di mira, posto che la sua individuazione avrebbe potuto avvenire in cento altre maniere. Intanto vi è l’orario, che porta ad escludere tutti i convogli che transitano al di fuori di una certa fascia ed a concentrare l’attenzione su 3-4, non di più, in transito negli 8/10 minuti di prevedibile arrivo del treno partente dalla stazione di Firenze in orario ben preciso.(A questo proposito, non è superfluo rilevare che durante la mattinata del 17 o del 18 dicembre del 1984 pervenne all’ufficio informazioni della stazione di Santa Maria Novella di Firenze la telefonata di uno sconosciuto che, con voce “forte, ferma, decisa ed autoritaria” chiese l’orario di transito dalla stazione di Vernio e di San Benedetto Val di Sambro di taluni convogli, tra i quali il rapido n. 904 –V. rapporto alle pag. 512 e 519 del volume 1/A atti PM. BO. È del tutto arbitrario, poi, sospettare che le due coppie di ricetrasmittenti consegnate dallo Schaudinn al Cercola guarda caso la prima pochi giorni dopo la consegna della prima serie, la seconda pochi giorni dopo la seconda, abbiano a che vedere con il problema che si sta esaminando?! V. dichiarazioni dello Schaudinn del 20.5.85 alle pag. 198 e segg. vol. LXXXVI). In secondo luogo ci si può avvalere della composizione del treno, posto che la sesta carrozza del rapido n. 904 è sempre costituita da una vettura ristorante illuminata, dunque facilmente riconoscibile al buio anche da lontano. In terzo e ultimo luogo -e senza che occorra esaminare singolarmente gli svariati altri modi- vi è il sistema semplice e sicuro, di cominciare ad azionare la valigia A sin dal primo treno in transito nella fascia oraria di prevedibile arrivo del rapido preso di mira, e ciò fino al sopraggiungere e all’esplodere, per l’appunto di questo!
-
Molto si è già discusso sui rischi cui l’attentatore si sarebbe esposto nei brevi istanti tra l’emissione dell’impulso con la scatola B ed il resettamento della scatola C e dal resettamento in poi. A parte il fatto che un margine di rischio in una operazione del genere è sempre presente e chi si determina a compiere un attentato deve pure accettarlo (se così non fosse, non si avrebbero mai imprese delittuose con esplosivi o con altri sistemi pericolosi), riguarda il caso in esame vi è da dire che le apparecchiature erano congegnate in maniera da ridurre al minimo le possibilità di brillamento dell’esplosivo in momenti diversi da quello preventivato e che l’attentatore della scatola B aveva la possibilità di non esporsi più di tanto ad una eventuale esplosione. Sono dati acquisiti al processo, infatti, che perché C somministrasse l’energia occorrente per l’esplosione era necessario che ricevesse non uno, ma due impulsi: dalla scatola B, per essere attivata, o resettata, come si esprimono i periti, e poi dalla scatola A. Ne consegue che in mancanza del (secondo) segnale radio, proveniente da A, e nell’estrema improbabilità che un qualche altro impulso non avente la medesima codifica si sostituisse a quest’ultimo, i rischi di una esplosione non voluta erano praticamente nulli. Da non dimenticare, infine, che l’operazione di resettamento poteva essere eseguita da distanza anche di 70/80 metri e dunque nelle condizioni di non subire gli effetti di un’eventuale esplosione.
-
Il richiamo appena operato alla scatola B suggerisce altri e più importanti rilievi in punto di destinazione dei congegni. Muovendo dalla considerazione, che è dei periti d’ufficio, la scatola C si presta ad essere impiegata nell’ambito di un sistema completo della valigia (A) e della scatola (B), con la conseguenza che è da escludere un suo possibile impiego in modo autonomo e separato” da A e, quel che più conta, da B (v. pagina 7/1 della perizia), vi è da domandarsi per quale ragione si è concepito e poi realizzato in concreto il congegno con la scatola B. L’interrogativo ha un senso sol che si rifletta che la destinazione degli apparecchi per così come sono stati realizzati “non è chiara” (e sono ancora i periti ad affermarlo; v. pag. 4/10 dell’elaborato). Non è chiara per la semplice ragione che bisogna compiere veri e propri sforzi di “fantasia” (l’espressione è dei periti; v. pag. 4/10 della perizia) per spiegare la presenza di B, posto che un qualsiasi risultato nel campo degli impieghi correnti ed ordinari di apparecchiature del genere avrebbe potuto normalmente raggiungersi con le sole scatole A e C, la prima in funzione di trasmettitore del segnale codificato la seconda in funzione di ricevitore dell’ordine impartito da A. Bisogna ricorrere ad ipotesi tra le più stravaganti ed improbabili, neppure prospettate dagli imputati, per dare una giustificazione alla presenza di B e questo non per esclusiva convinzione di questa Corte sulla base della comune esperienza, ma per quanto espressamente sostenuto dai periti di ufficio. Della necessità di “un pò di fantasia”, tirata in ballo in sede di perizia, si è già scritto; può aggiungersi adesso ciò che il perito Prof. Randighieri ha dichiarato all’udienza del 14.1.89 rispondendo a specifiche domande su questo argomento: “…con quelle macchine lì, fatte così, non ho visto niente di molto ragionevole. Ecco, si può pensare (a) cose strane, sembrano un poco chiare e non… e non… per cose da fare alla luce del sole. E nell’uso corrente, diciamo, a me non risulta, a meno che non ci sia bisogno ad un certo posto di arrivare con due trasmettitori, ma allora la questione è diversa!” Non muta la sostanza della risposta l’astratto possibilismo al quale si è abbandonato il perito -più per cortesia verso l’interlocutore che per intima convinzione- che da lì a qualche istante ha affermato:”.. può darsi che ci sia qualcosa, io però non lo so dire! Nella mia… non risulta, ecco!” Ben diversa è la musica allorché si passa dal corrente (e lecito) ad un qualcosa di estremamente specifico, perché la previsione della scatola B si spiega, nella realtà delle cose, con riguardo al compimento di un fatto illecito. E qui entra in gioco non soltanto l’astratta idoneità dei congegni a “provocare l’esplosione di una carica a distanza, con sacrificio di una scatola di tipo C”, già affermata dai periti con la relazione del 6.11.85 (v. pag. 4/11 e punto 6 della stessa), quanto la specifica destinazione degli stessi ad uno scopo del genere. Secondo quanto esposto dal perito d’ufficio all’udienza dell’14.1.89, C per funzionare non è sufficiente che sia accesa, ma dev’essere resettata; dev’essere posta in condizione, cioè, di funzionare perché con il solo arrivo della tensione non è in grado di ‘ragionare’, di fare ‘il suo dovere’. L’accensione e l’operazione di resettamento possono essere compiute anche manualmente con l’azionare un pulsantino posto sulla stessa scatola C ma nel momento in cui si realizza un apparecchietto distinto, la scatola B, per il compimento di queste due operazioni, bisogna necessariamente pensare all’esigenza che l’accensione ed il resettamento avvengano in condizioni di sicurezza e senza tanto armeggiare attorno alla scatola C. La persona che non ha problemi di nessun genere depone il bagaglio, accende la scatola C e la resetta. Ma chi maneggia un ordigno esplosivo non può fare altrettanto perché se è innegabile che senza la chiusura del secondo circuito, per effetto del segnale proveniente da A, la scatola C non è in grado di erogare la corrente di 12 volt, è anche vero che l’accensione ed il resettamento comportano la chiusura di uno dei due circuiti e che con materiali pericolosi come gli ordigni esplosivi la prudenza, si sa, non è mai troppa. Anche perché ragioni di sicurezza potrebbero suggerire in tenere la scatola C spenta è staccato il detonatore, ma questi fatti imporrebbero all’attentatore non tanto di dover accendere l’apparecchio C, quanto di procedere, oltre che al resettamento, all’ulteriore delicata operazione di collegamento dei fili del detonatore con manovre che potrebbero destare sospetti. Ed allora, cosa di più idoneo per evitare la necessità del collegamento di fili (giungendo sul posto con il detonatore già collegato ma in condizioni di sicurezza per via dei due circuiti, nessuno dei quali ancora chiuso); e per evitare di andare in giro con la scatola C già accesa e di doverla resettare con il detonatore già collegato (per non dover compiere sul posto la relativa operazione, particolarmente delicata e suscettibile di destare sospetti); cosa di più idoneo, si stava scrivendo, che un apparecchietto del tipo B con il quale in condizioni di sicurezza e senza null’altro dover compiere che schiacciare un pulsante, dare il via alla scatola C, dandole corrente e resettandola?! In definitiva, l’inserimento di B nell’insieme del congegno che dimostra come la scatola C dovesse essere predisposta alla ricezione del segnale da parte di A in condizioni di sicurezza e senza la necessità di soffermarsi a compiere manovre che avrebbero potuto esse stesse essere pericolose e tali da destare sospetti. Diversamente detto, è la presenza di B che fa pensare come C ad altro non dovesse servire che a fornire energia ad un congegno esplosivo.
-
Questa conclusione, che si raggiunge attraverso l’esame delle caratteristiche tecniche dei congegni, potrebbe apparire l’astratto ed inconsistente risultato di esercitazioni concettuali. Il realtà, lo è tanto poco che Schaudinn per primo, man mano che il Cercola gli suggeriva come procedere nella costruzione dei congegni, si è reso conto che questi non potevano servire che per compiere attentati, soprattutto quando si è trattato, da parte sua, di preparare la scatola B: “è stato quando ho costruito i due trasmettitori a breve raggio che ho avuto la certezza di quanto avevo già supposto in occasione della costruzione delle due valigie trasmittenti con relativi trasmettitori e cioè che tale apparecchiatura, per la quale ho ricevuto il compenso di lire 18 milioni, serviva per predisporre attentati” (v. dichiarazioni del 3.4.85 alla Questura di Roma a pag. 578 vol. LXXXVI; dichiarazioni confermate il giorno 6 successivo in sede di interrogatorio da parte del Procuratore della Repubblica di Roma: v. pag. 68 vol. cit.). È ben vero che Schaudinn negli interrogatori successivi, pur confermando queste affermazioni, ne ha attenuato la portata; è altamente significativo, tuttavia, salvo tornare sull’argomento all’esame della specifica posizione di quest’imputato, che Schaudinn, da persona esperta in elettrotecnica, non può fare a meno di collegare i congegni che stava costruendo, in base alle loro peculiarità tecniche, ad attentati dinamitardi (in altra parte dei suoi interrogatori ammetterà di aver contestato al Cercola:”… ma serviranno mica per fare esplodere?” Oppure:”… ma serviranno mica per bombe?”(v. pag. 52 vol.LXXIII). Una seconda serie di dichiarazioni dello Schaudinn lascia comprendere che la realizzazione dei congegni anche negli intendimenti del Cercola avveniva in funzione di un attentato dinamitardo, esattamente di quello da compiersi da lì a qualche tempo all’interno della Grande Galleria dell’Appennino. Ha riferito lo Schaudinn, difatti: “una volta eravamo io, Cercola e Di Agostino Franco a casa di quest’ultimo. Qui Cercola alla presenza di Di Agostino Franco mi chiese quanto tempo impiegava l’impulso a giungere dalla trasmittente (valigia) alla ricevente (e cioè ad uno dei sei congegni da me costruiti). Io gli dissi che durante le mie prove avevo fatto delle osservazioni in proposito e che il tempo di arrivo dell’impulso era condizionato da vari fattori e gli spiegai tutto ciò o meglio iniziai a spiegargli molto scrupolosamente la questione chiedendogli come mai gli interessava questa precisazione ed allora lui mi interruppe dicendo che la cosa non aveva importanza.” (interr.del 13.8.1985 alle pagg.37 e segg. vol.20). In realtà la conoscenza del tempo intercorrente tra l’invio dell’impulso e la ricezione dello stesso ad opera della ricevente C era molto importante non a caso il Cercola ha posto la domanda al tecnico che i congegni stava realizzando. Probabilmente a quest’imputato non interessava più di tanto la lezione del tedesco sui tempi di percorrenza dello spazio da parte di un impulso radio, ma sicuramente interessava la notizia finale nel caso dei congegni in concreta fase di realizzazione. E la conoscenza di questo dato gli premeva per una ragione molto semplice, da ricondursi esclusivamente all’attentato del 23.12.84: l’impulso andava dato prima dell’ingresso del convoglio in galleria, perché in un momento successivo non sarebbe stato in grado di raggiungere e sollecitare la ricevente C, posta all’interno di una vettura; bisognava conoscere il momento di arrivo dell’impulso a C per la regolazione del timer e per fare in modo che l’esplosione (trascorso quel certo numero di minuti) avvenisse all’interno della galleria. Va da sé che da un lato si sarebbe corso il rischio di azionare A al sopraggiungere del treno ma non in tempo perché C ricevesse il segnale; dall’altro che l’esplosione avvenisse non all’interno della galleria ma prima dell’imbocco della stessa da parte del convoglio oppure all’uscita. Nel corso del processo svoltosi dinanzi al Tribunale di Roma Schaudinn ha precisato che la richiesta dei tempi di percorrenza dell’impulso gli era stata rivolta anche dal Di Agostino nell’ottobre-novembre 1984. Non può sottovalutarsi l’importanza di questa puntualizzazione ai fini che si vedranno esaminando la posizione di quest’imputato, ma per il momento preme sottolineare i congegni (costituiti specificamente per l’attivazione a distanza di una carica esplosiva) dovevano trovare impiego in condizioni di fatto che sono esattamente quelle dell’attentato del 23.12.84. Non altrimenti si spiega, infatti, l’interesse alla conoscenza di una caratteristica che in situazioni di impiego differenti non avrebbe avuto nessuna importanza. Per completezza di informazione bisogna dire che Cercola non ha mai ammesso che i congegni servissero per un attentato. Questa Corte avrà modo di soffermarsi diffusamente su quest’aspetto delle sue dichiarazioni. Per il momento basta ricordare, oltre quel che si è appena scritto sui tempi di percorrenza nell’impulso, l’affermazione fatta dal Cercola il 24.6.85: “gli apparecchi mi furono fatti modificare più volte, soltanto quando vidi gli ultimi apparecchi mi resi conto che potevano essere utilizzati, anzi dico meglio, quando lessi sul giornale che erano stati ritrovati, mi resi conto che potevano essere utilizzati per esplosioni a distanza.”(pag.555 vol. LXXXVI). Se si considera che Cercola non poteva acquisire certo la consapevolezza che le apparecchiature “potevano essere utilizzate per esplosioni a distanza” solo attraverso la lettura sui giornali della notizia del loro ritrovamento, si capisce che le dichiarazioni appena richiamate assumono il sapore di una vera e propria confessione!
-
Le dichiarazioni di Schaudinn riferite al punto precedente si prestano ad essere lette da un diverso angolo visuale; quella del rafforzamento da parte loro della tesi rappresentata dai periti. Non che se ne avvertisse la necessità, ma il constatare che è proprio uno degli imputati, per l’appunto l’unico in possesso di cognizioni in materia, che offre attestazioni di serietà e correttezza professionale ai periti, costituisce motivo di confronto ben al di là delle critiche rivolte da alcuni difensori all’operato di questi. Questa Corte non può fare a meno di aprire una parentesi, a questo proposito, sui sospetti sollevati nei confronti di uno di costoro, il prof. Remo Randighieri. Non che questa Corte si scandalizzi più di tanto o trovi disdicevole che se difensori o imputati mettono in luce eventuali inesattezze dei professionisti chiamati a rivestire l’incarico di periti oppure ne evidenziano l’adeguata preparazione tecnica. Il fatto è che con il Prof. Randighieri ci si trova in presenza di un professionista di prim’ordine, sul profilo della competenza e delle doti personali, che si è anticipatamente speculato su una espressione usata da questi, fingendo di non avere compreso il reale significato. E’ un vero peccato che le trascrizioni dei verbali del dibattimento non rendano l’idea della levatura di quest’uomo perché il Professor Randighieri ha offerto di sé un’immagine bellissima e sarebbe stato esperienza di grande ricchezza di chiunque rendersi conto dei livelli, umani e professionali, davvero notevoli ai quali può giungersi. Questa Corte ha avuto il reale privilegio di apprezzarlo e non solo per la (prevedibile) competenza nel dare risposta esauriente e tecnicamente ineccepibile ai quesiti via via postigli e rientranti nella sua sfera di conoscenze, ma per l’ampiezza, la serietà e la modestia con le quali ha interpretato il suo incarico. Questa Corte si è resa conto, come chiunque altro nelle sue stesse condizioni, non attraverso una specifica indagine psicologica, ma semplicemente ascoltandolo, con quella predisposizione a cogliere le caratteristiche umane dell’interlocutore che è comune alla gran maggioranza degli individui. Con la naturalezza e l’umiltà che sono degli uomini superiori, il professore Randighieri si è definito “hobbista nel campo delle telecomunicazioni ad un certo livello” su quest’espressione si è molto speculato (per iscritto anche da parte di taluno) per far credere, non certo ai componenti di questa Corte, che ci si trovava in presenza di un dilettante, non dotato di cognizione adeguata in materia di elettrotecnica e certamente non all’altezza dell’incarico affidatogli. Problemi di sensibilità e di buon gusto a parte, è stato lo stesso Professor Randighieri che ha sgombrato il campo da queste insinuazioni, precisando, con la ritrosia che è tipica dei modesti nel dover dire di sé e dei propri meriti, che non intendeva definirsi un principiante, appena competente in questa materia. E difatti ha esposto titoli ed esperienze professionali che ne fanno persona particolarmente esperta nel settore delle telecomunicazioni; persona che è dotata per di più, osserva in aggiunta questa Corte, di quella serietà e di quello scrupolo professionale che ne fanno un collaboratore della giustizia assolutamente affidabile. Non capita frequentemente di sentir dire ad un perito: non sono in grado di rispondere! Oppure: bisogna prima verificare. Eppure il Professor Randighieri lo ha fatto tutte le volte in cui non si è sentito in grado di offrire certezze, senza presunzione ed anzi con quella sicurezza tutta interiore che è tipica della persona che ha padronanza della materia e che per questo è ben consapevole degli inevitabili limiti della propria preparazione.
-
Tornando ai congegni, vi è da dire che alla luce delle osservazioni fin qui fatte, soprattutto di quelle che traggono origine dalla verifica fatta dai periti con gli apparecchi sequestrati al Fiorini su un treno in corsa, perdono concreto interesse molte delle questioni sollevate dai difensori e molte delle richieste da loro stessi avanzate. Sull’antenna. Quale rilievo può avere la conoscenza della portata delle antenne di B e di C, ipotizzandole ‘completamente retratte’, quando i periti hanno fatto sapere che per la potenza impiegata e la frequenza scelta dal costruttore l’antenna di fatto installata nella scatola B era anche troppo lunga (al punto che la sua ‘retrazione’ ‘gli fa bene senz’altro’) e C avrebbe potuto funzionare anche senza antenna, cioè con un prezzo di filo; e dal momento che la portata delle stesse non subiva apprezzabile raccorciamento, per il fatto di rimanere all’interno della scatola (nel caso di B) o della scatola oppure del manico (nel caso di C), essendo le scatole ed il manico di plastica o comunque di materiale non in grado di impedire o ridurre consistentemente l’irradiazione del segnale? Senza dire che quelle antenne hanno perfettamente funzionato in sede di verifica, con questo dando dimostrazione concreta di essere ben idonee ad adempiere al loro compito (l’esperimento che abbiamo fatto, che si pensava di eccitare, di provare ad eccitare il ricevitore nei paraggi della stazione. L’apparecchio però è stato acceso che il treno era ancora a 3-400 metri distante,… l’ha eccitato subito… Esperimenti fatti per verificare. Esperimenti fatti proprio perché si può dire: una cosa può esser fatta! Ma io dico sempre: è meglio verificarla… se si può! E mentre si verifica, verificare anche se ci siamo arrivati per caso, eravamo al limite o se c’era abbondanza, perché se fosse stato al limite, bisogna pensarci su e guardarci bene, ecco! Invece l’abbondanza del segnale era tale,… era inutile ripetere l’esperimento” –v. dichiarazioni dei periti all’udienza del 14.1.89.) Sui cosiddetti nodi e ventri, sui punti di un campo elettromagnetico, cioè, dove il segnale radio arriva (e si tratta dei ventri) o non arriva (ed è il caso dei nodi). È ben vero che se l’antenna della scatola C si fosse trovata in un nodo, mentre era collegata all’interno della carrozza ferroviaria, non avrebbe potuto ricevere il segnale, ma è anche vero che questa affermazione è del tutto priva di concretezza per difetto del benché minimo fondamento nella premessa: nodi e ventri si alternano nello spazio a distanza di pochissime decine di millimetri cosicché un’antenna, che non è puntiforme ed ha una sua dimensione che le fa occupare dello spazio, è sempre in grado di trovarsi in corrispondenza di un ventre allorché una parte di essa si trova in un nodo! Anche ad ammettere che un accertamento sui nodi e sui ventri all’interno di una carrozza sia tecnicamente fattibile (ed il prof.Randigieri ha fatto chiaramente intendere che non lo è), quale utilità può avere un’indagine del genere quando la prova pratica fatta con una carrozza ferroviaria ha dimostrato che i segnali di A e di B raggiungono perfettamente l’apparecchio C, in barba a tutti i nodi e a tutti i ventri di questo mondo?! Sia pure per ragioni diverse, quale il costrutto di procedere a tutta quella serie di perizie sollecitata dai difensori per riscontrare la presenza ora di questa ora di quella sostanza delle mille rimaste coinvolte direttamente o indirettamente nell’esplosione? La violenza di questa e stata notevolissima tale da comportare la “disgregazione molecolare” dei corpi ad immediato contatto con l’esplosivo per “i picchi di pressione” determinatisi al momento dello scoppio (le due espressioni tra virgolette sono dei periti alla solita udienza del 14.1.89), ed allora come seriamente pretendere che i periti ricercassero, per accertarne la presenza o meno, tutta una serie di sostanze, non aventi nulla a che vedere con gli esplosivi e non necessariamente riconducibili ai materiali costituenti la scatola C, e sollecitare oggi di “vedere la compatibilità delle quantità di questi materiali contenuti nelle batterie con i reperti dell’esplosione”? Il tutto dopo avere accertato – si capisce!- la composizione della batteria di alimentazione della scatola C, la presenza, dunque, di nikel, cadmio, silicio, piombo e quant’altro, il punto di fusione del nikel, il punto di fusione del cadmio, e qualche altra cosetta che può rilevarsi nella trascrizione dei verbali (v. pag. da 26 in poi del fascicolo n. 26/bis). Prima di passare ad altro, merita un rapido accenno il solo piombo, sostanza che ad avviso del difensore dello Schaudinn avrebbe dovuto essere presente nelle due batterie di alimentazione della scatola C per un complessivo di kg 1,2 circa. Dove tutto questo piombo, si domandava (e chiedeva a questa Corte) il difensore, che prendendo spunto da questo dilemma dava il via ad una fase del dibattimento tra le più convulse? In nessuna parte, spiegava da ultimo il Dottor Moauro, per il semplice motivo che, trattandosi di batterie alcaline al nikel e al cadmio, non contenevano piombo se non in misura trascurabilissima; quella perfettamente compatibile con il piombo di cui si era trovata traccia sullo scenario dell’esplosione. E per dar forza alla sua affermazione otteneva di aprire una batteria e di far constatare, per l’appunto, l’assenza del piombo nella sua composizione. Infine sul timer, da doversi necessariamente ipotizzare, visto che l’esplosione è avvenuta all’interno della galleria e mai l’impulso radio avrebbe potuto raggiungere C in quella situazione; timer del quale non è stata trovata la benché minima traccia. Hanno spiegato i periti che l’applicazione di un apparecchietto del genere, facilmente reperibile sul mercato, è quanto di più semplice possa immaginarsi, trattandosi di una operazione che non presenta nessuna difficoltà e che può occupare per non più di alcuni minuti (10 al massimo, ha puntualizzato il gen.Spampinato). Non se n’è trovata traccia: ci sarebbe stato da meravigliarsi del contrario, visto che il timer era ad immediato contatto della carica e ha subito più di ogni altro oggetto la violenza disintegratrice dell’esplosione!
-
Al termine di questa serie di rilievi può affermarsi con ampio margine di sicurezza che i congegni sequestrati in casa Fiorini erano certamente destinati a provocare esplosioni a distanza. E diventa inutile il richiamo ad imprese delittuose del recente passato, commessi con sistemi radiocomandati, se si vuol dimostrare che singoli o organizzazioni criminali (come sembrerebbe nel caso dei Giudici Chinnici e Palermo) hanno orientato le loro scelte operative verso sistemi di questo tipo allorché si è posta loro la necessità di provocare l’esplosione a distanza in un preciso momento. Alla conclusione appena formulata può giungersi esaminando il problema della destinazione dei congegni da un differente angolo visuale; quello che prende spunto dalle affermazioni rese dal Cercola e dallo Schaudinn su questo punto: se non per esplosioni a distanza, per quale altra finalità sono stati commissionati prima e costruiti dopo i congegni? Questo interrogativo è stato ovviamente posto ai due imputati e dalle loro risposte si traggono elementi interessantissimi di valutazione. Non è da trascurare il fatto che Cercola, in occasione del primo interrogatorio del 5.4.85 da parte del Procuratore della Repubblica di Roma, ha liquidato l’argomento con una risposta come più sintomatica non avrebbe potuto: ‘si tratta di cose mie personali di cui preferisco non parlare’ ed alla richiesta se ‘quelle lì (le valigie) possono far saltare un auto’ ha risposto: ’non lo so’(v. pag.53 e segg.vol.LXXXVI). Messo nella necessità, tuttavia, di dar conto in maniera soddisfacente dei congegni e della loro funzione, all’interrogatorio del 24.6.85 da un lato ha tirato fuori la figura del libanese, come quella di che gliene avrebbe fatto richiesta; dall’altro ha spiegato che i marchingegni, secondo le richieste del libanese, dovevano servire per accendere lampadine a distanza… dovevano servire per furti in cassette di sicurezza all’estero, in quanto gli autori dei furti, che si trovavano in diversi locali, dovevano comunicare tramite l’accensione delle lampadine”(pag.456 vol. LXXXVI): è la spiegazione che ricorre anche negli interrogatori successivi e che, a parte precisazioni di scarso interesse, viene ripetuta al dibattimento del processo romano (udienza del 28.2.87) ed a questa Corte il 9.11.88. Prima ancora che l’inverisimiglianza intrinseca di una versione del genere (e con questo non ci si riferisce solamente alla figura del fantomatico libanese, sul quale si avrà modo di spendere qualche parola, ma alla stranezza di ladri di cassette di sicurezza che sentono la necessità di colloquiare tra di loro a mezzo di segnali luminosi); prima che la scarsa credibilità intrinseca della tesi del Cercola, si stava scrivendo, è il dato tecnico che la priva di fondamento. Per come erano concepiti i marchingegni, non è affatto vero che ciascuno dei ladri poteva comunicare (sia pure a segnali luminosi) con gli altri attraverso una delle sei scatole C, perché questa non erano in grado di svolgere una funzione del genere. Hanno spiegato i periti che i congegni avevano caratteristiche tecniche tali che un solo soggetto poteva fare segnali luminosi agli altri, ed esattamente chi aveva la disponibilità della valigia A nei confronti dei sei aventi la scatola C! Smentita alla versione del Cercola giunge anche dallo Schaudinn che, interrogato il 6.4.85 su questo argomento, ha fatto sapere: “Cercola mi chiese dei radiocomandi tali da poter fare segnali a distanza maggiore dei radiocomandi tascabili” ed ognuno comprende che segnale con simile portata non è certo in funzione di soggetti che devono agire all’interno di un medesimo edificio o, a tutto concedere, di costruzioni tra di loro molto prossime! Sulla utilizzazione specifica dei congegni sembra che Cercola non si sia mai sbilanciato con lo Schaudinn: “ripeto che non mi ha mai detto la funzione e la finalità di questi congegni”(interr. del 24.4.85 a pag.191 vol.LXXXVI). La riservatezza del Cercola può avere una sua giustificazione nel desiderio di non far sapere allo Schaudinn progetti illeciti suoi o di altri. Non si comprende, allora, perché nell’incaricare il tedesco della costruzione dei congegni non gli abbia genericamente prospettato che questi servivano a persone che dovevano comunicare tra loro trovandosi in luoghi diversi. È significativo, per converso, che egli abbia detto che si trattava ‘di impianti di allarme per una villa, collegati con altre ville’ e che Schaudinn per primo, a lavoro eseguito, si sia reso conto che i congegni ‘non erano adatti, con le modifiche apportate allo scopo originario. Preciso, erano sproporzionati allo scopo!’ (v. interr. del 20.5.85 alle pag. 197 e segg. vol. LXXXVI). Un altro dato di fatto smentisce Cercola circa la destinazione degli apparecchi e precisamente la circostanza che le prove, per ammissione dello stesso Cercola e secondo quanto affermato dallo Schaudinn e dal Di Agostino, non sono state mai effettuate in luoghi chiusi ma l’aperto e mai azionando in contemporanea le varie riventi, come invece avrebbe dovuto farsi se gli strumenti avessero dovuto servire per ‘contatti da realizzare tra persone all’interno di locali per furti a cassette di sicurezza’ (v. interrogatorio Cercola del 15.4.86 a pag. 423 vol. 20).
-
Un’ulteriore insieme di elementi probatori dimostra che i congegni dei quali si discute sono stati concretamente usati per la commissione dell’attentato al rapido n. 904. È intuitivo, difatti, che attribuire a questi congegni l’idoneità di attivare cariche esplosive a distanza non equivale a dire che questi stessi sono stati impiegati – si stabilirà eventualmente da parte di chi – il 23.12.84. Trattando dei congegni ad altri fini, nelle pagine precedenti, questa Corte ha avuto modo di esporre argomenti o di richiamare emergenze probatorie che rivestono particolare importanza anche dal punto di vista della utilizzazione dei congegni Schaudinn per lo specifico attentato a rapido n. 904. E’ ovvio che devono essere tenuti presenti anche se, per evitare inutili ripetizioni, ci si soffermerà qui di seguito su fatti e circostanze non ancora esaminati. La prima di questi sembra essere l’epoca in cui sono stati costruiti i congegni da parte dello Schaudinn ed in cui sono stati consegnati al Cercola, perché è evidente che i congegni stessi possano essere riferiti alla strage del 23.12.84 se risulta che non sono stati costruiti e consegnati dopo il verificarsi di questa e neppure consistentemente prima; per ovvi motivi, nel primo caso; perché la loro riferibilità alla strage, nel secondo caso, sarebbe alquanto problematica. Dalle concordi dichiarazioni dello Schaudinn e del Cercola emerge per l’appunto che la costruzione dei congegni risale ad epoca di poco precedente il 23.12.84 e che la consegna degli stessi, dopo la loro ultimazione, si è verificata nell’immediatezza di questa data. “Nei primi giorni di settembre dello scorso anno – è lo Schaudinn che parla il 6.4.85; v. interr. a pag. 65 vol.LXXXVI- il Guido Cercola mi chiese dei radio comandi tali da poter fare segnali a distanza maggiore dei radiocomandi tascabili;…Le attrezzature, riposte nelle valigette, in realtà furono consegnate a novembre 1984 nella ubicazione di via Sutri”. “Tutta questa roba mi fu chiesta e fu da me consegnata nel periodo tra settembre ed il mese di novembre dell’anno scorso” (interrogatorio del 24.4.35 a pag. 191 vol. cit). Nel corso dell’interrogatorio del 20.5.85 puntualizza, tuttavia, i momenti della consegna con riguardo a ciascuna delle due serie di congegni: ‘nel settembre 1984, per la prima volta, Guido Cercola mi chiese delle trasmettenti e riceventi da utilizzare per impianti di allarme di una villa, collegati con altre ville…. Io comprai subito il materiale occorrente… Consegnai verso la fine di ottobre la trasmittente e gli apparecchi costruiti… Insieme ai sei riceventi e alla trasmittente fornii l’amplificatore di segnale… Ciò avvenne prima della fine di ottobre… Dopo qualche giorno Cercola mi chiese un’altra serie composta da un trasmittente e sei riceventi, che fornissero le stesse prestazioni… Comprai il nuovo materiale occorrente alla… Appena consegnata la 2.a serie, mi furono richieste altre due ricetrasmittenti, verso i primi dicembre.’(pag.197 e segg. vol. cit.) Fine ottobre e fine novembre inizi dicembre sono l’epoca delle due consegne che Schaudinn indica anche nel corso dell’interrogatorio del 26.6.85 (pag.45 vol. LXXIII). Indicazioni cronologiche non dissimili offre Cercola, che difatti il 24.6.85 colloca nel settembre 1984 il momento in cui il libanese gli chiede la fornitura dei congegni (ed egli a sua volta si rivolge allo Schaudinn) e l’11.7.85 ‘nel novembre o dicembre 1984, ma non ricordo con precisione’ l’epoca della ricezione degli apparecchi da parte dello Schaudinn. La corrispondenza dei riferimenti temporali dei due imputati è perfetta e risparmia da ogni altra indagine in proposito. Consente, soprattutto, che ci si accenni appena agli accertamenti svolti dalla Squadra Mobile di Roma presso i fornitori del materiale acquistato dallo Schaudinn per la costruzione degli apparecchi (v.per tutti il verbale di s.i.t. in data 11.7.85 di Iannucci Giuseppe, presso il cui negozio sono state acquistate le valigie contenenti le trasmittenti A) ed alle dichiarazioni di Di Agostino, presente alla consegna della seconda serie alla fine di novembre 1984 (interrogatorio del 14.1.86 a pag. 217 vol.20). Se è vero, in definitiva, che l’affidamento dell’incarico per la costruzione dei congegni e la consegna di questi cadono in epoca molto prossima all’23.12.84, non può seriamente contestarsi che ci si trova in presenza di un elemento probatorio di indiscutibile importanza ai fini della specifica riferibilità dei congegni alla strage avvenuta in quella data; riferibilità che diviene certa sol che l’indicazione cronologica della quale si è fin qui scritto venga riguardata non isolamente, ma nel contesto generale dell’emergenza probatoria ed alla luce delle forti concatenazioni che possono ravvisarsi tra le une e le altre.
-
L’istruttoria processuale ha posto in evidenza altri riferimenti cronologici che avvalorano l’ipotesi del collegamento esplosivo-congegni con la strage all’origine di questo processo. Si tratta dell’epoca di occultamento del primo a Poggio San Lorenzo e della consegna dei secondi da parte del Cercola al Fiorini. In relazione al primo dei due argomenti non è seriamente contestabile che il Cercola ha portato la valigia contenente, fra le altre cose, i pani di semtex H ed i detonatori, a Poggio San Lorenzo in epoca immediatamente successiva alla strage ed esattamente non appena avuta disponibilità del casale e non appena realizzata l’intercapedine dove nascondere, con buon margine di sicurezza, materiale tanto compromettente. Merita ripercorrere la condotta del Cercola in questa vicenda attraverso le parole del venditore del casale (meglio di quel D’Alia che si è interessato alla cessione dell’immobile per conto della moglie) perché si abbia la cognizione esatta di quel che il Cercola ha fatto e di come si è mosso in questa circostanza. Dalle dichiarazioni del D’Alia si apprende che: Cercola ha contattato il D’Alia, facendogli un’offerta giudicata ‘conveniente’, ‘sul finire’ del mese di novembre 1984 (l’immobile era in vendita già da prima, perché il D’Alia aveva effettuato inserzioni sul giornale Porta Portese di Roma nell’aprile dello stesso anno e poi dall’ottobre a metà novembre successivo –v.dep.dell’11.5.85 a pag. 154 vol. LXVI); l’accordo è stato raggiunto nel corso di un secondo incontro, tenutasi ‘successivamente, dopo pochi giorni’ rispetto al primo; esattamente il 4.12.84. Prezzo concordato: lire 250 milioni in contanti con corresponsione di un acconto, a titolo di caparra, di 150 milioni di lire(dep. dell’11.5.85 cit. e 22.4.86 vol. cit.); ‘Fin da quando venne la prima volta il Cercola mi sollecitò la consegna dell’immobile dicendo che doveva ospitare il padre era arteriosclerotico’ (dep. del 22.4.86 cit.): altre sollecitazioni per il rilascio dell’immobile il Cercola ha fatto al D’Alia ‘verso il 20 dicembre’, dicendo che ‘doveva partire e che sarebbe tornato ai primi di gennaio’(dep. del 22.4.86 cit.); la consegna dell’immobile e la stipula del contratto notarile di vendita sono avvenuti i 16.1.85 (dep. del 22.4.86 cit.) ma già il 12.1.85 il D’Alia aveva dovuto sgomberare il Casale dai propri materiali, benché nevicasse, a seguito delle pressanti richieste del Cercola(dep.del 11.5.1985 al G.I. di Roma a pag. 709 vol. LXXXVI). ‘Il Cercola mi fece molta fretta per la consegna dell’immobile. Diceva che doveva sistemare il padre che soffriva di arteriosclerosi ed amnesie ed io, poiché avevo lasciato dei materiali nella villa (tavole) fui costretto a prelevarli insieme al Petrini ed a Domenico Ippoliti (che ha un camion) il 12/1/1985, sotto la neve’); Cercola ha dato incarico di realizzare l’intercapedine, in uno dei locali cantine della villa, nei giorni immediatamente successivi la sottoscrizione del contratto notarile di vendita, ed esattamente ‘intorno al giorno 20’, come ha dichiarato il Manzo, il dipendente del Di Agostino concretamente incaricato di eseguire il lavoro assieme ad altra persona (‘Salva’ o ‘Salvo’ oppure ancora ‘Silvio’ non potuto identificare – v. interr. Manzo al Tribunale di Roma); per le stesse dichiarazioni di Cercola, il materiale, tra cui l’esplosivo, e stato nascosto nell’intercapedine ‘in gennaio, dopo il mio ritorno dalla Polonia’(v. interr. del 24.6.85 a pag. 455 vol. LXXXVI, con la precisazione fatta l’11.7.85, di avere effettuato l’operazione assieme al libanese –ma questa circostanza sarà smentita- tra il gennaio e il febbraio di quell’anno; v. pag. 62 vol. LXXIII). I dati cronologici fin qui esposti dimostrano la fondatezza dell’assunto che qui si segue, e cioè che il Cercola è adoperato per trovare l’immobile dove occultare convenientemente l’esplosivo in epoca di poco anteriore alla strage, sollecitandone la consegna (con la falsa scusa del padre arteriosclerotico) nell’immediatezza di essa e ottenendola a costo di insistenti pressioni nei confronti del venditore. Ottenuta la disponibilità del casale, in epoca di poco successiva all’attentato del 23.12.84, vi ha subito fatto costruire il tramezzo per nascondervi, di li a qualche giorno, il semtex H, i detonatori e quant’altro. “…ancora una volta – è il Procuratore della Repubblica che propone questo rilievo in sede di requisitoria scritta – il dato cronologico collega inequivocabilmente l’immobile stesso di Poggio San Lorenzo, con quanto di esplosivo e detonatori ivi rinvenuto, al fatto oggetto di questa indagine. Tale collegamento diviene –se possibile- ancor più inequivocabile quando si rifletta…che unitamente agli esplosivi, ai detonatori e quant’altro avrebbero dovuto essere celate nell’intercapedine anche le apparecchiature elettroniche (v. sul punto le dichiarazioni rese dal Cercola il 24 giugno e l’11 luglio 1985).
-
Venendo alla consegna dei congegni da parte del Cercola al Fiorini, bisogna osservare preliminarmente che l’individuazione dell’epoca esatta, se non proprio del giorno, assume particolare importanza ai fini della ricostruzione dei fatti di causa per un duplice ordine di motivi: perché può contribuire a dimostrare il collegamento o meno dei congegni all’attentato del dicembre 1984 e perché può costituire ulteriore prova dell’eventuale coinvolgimento in questo del Cercola. Sono circostanze da ritenersi dimostrate con assoluta certezza che i congegni, dopo la loro ultimazione da parte dello Schaudinn, sono stati consegnati al Cercola e che gli stessi, ad esclusione della scatola C sulla quale si è lungamente scritto, sono stati rinvenuti il 29.3.85 presso l’abitazione di Via Albricci, 13 Roma, di Fiorini Virgilio. Da questi dati di fatto discende che: – se i congegni sono stati affidati al Fiorini (ovviamente dal Cercola) prima del 23.12.84, diviene più difficile la prova della loro utilizzazione dell’attentato, a meno che non si dimostri che a commettere lo stesso è stato il Fiorini e suoi complici ( quanto al Cercola, posto che la scatola C senza le due trasmittenti A e B non sarebbe stata il grado di provocare l’esplosione, andrebbe ulteriormente provato che ha agito in concorso con il Fiorini, oppure che fattesi restituire dal Fiorini le scatole A e B per la commissione dell’attentato, gliele ha riconsegnate una seconda volta); se i congegni sono stati consegnati, invece, in epoca successiva all’attentato, rimane dimostrata l’estraneità a questo del Fiorini; soprattutto trova conferma l’ipotesi del coinvolgimento del Cercola e il collegamento alla strage dei congegni. Bisogna tenere presente, infatti, che soltanto la disponibilità delle tre parti degli apparecchi (le scatole A B e C) rendeva possibile la commissione dell’attentato e che questa avevano a quel momento il Cercola ed i suoi complici. L’analisi delle emergenze istruttorie sul problema in esame dimostra che delle due ipotesi appena prospettate è la seconda ad essersi verificata, perchè gli atti di causa offrono prove più che convincenti che la consegna delle apparecchiature è avvenuta, da parte del Cercola al Fiorini, verso la metà di gennaio 1985. Per la verità Cercola in occasione dei suoi vari interrogatori istruttori, e da ultimo anche nel corso del dibattimento innanzi a questa Corte, ha sostenuto con insistenza di aver dato i congegni al Fiorini prima della sua partenza per la Polonia avvenuta il 22.12.84, facendosi forte, in questa sua prospettazione, delle dichiarazione rese in seconda battuta dal Fiorini; quel Fiorini che nel corso di un primo interrogatorio aveva sostenuto che la consegna era da collocare nel gennaio 1985, ma che in un momento successivo aveva modificato versione dell’accaduto. L’esame delle varie dichiarazioni del Fiorini, nella loro successione cronologica, e l’indagine sulle ragioni dei vari mutamenti persuadono, tuttavia, che la versione ultima, che è la ripetizione di quella data inizialmente, è la rispondente a verità. A soli due giorni dal suo arresto, avvenuto il 29.3.85, il Fiorini ha reso le seguenti testuali dichiarazioni: ‘Voglio subito precisare che…quelle due scatole con delle apparecchiature elettroniche me le ha date Guido Cercola senza che ne conoscessi il contenuto; me le ha date due mesi e mezzo fa’, vale a dire verso la metà del mese di gennaio (interr. del 1.4.85 a pag. 11 vol. LXXXVI). Ha ribadito questa versione dei fatti per altri due interrogatori ancora, resi il 9 aprile ed il 3.6.85 rispettivamente al Procuratore della Repubblica ed al G.I. di Roma. Ha affermato nella prima circostanza: ‘le giuro che quando ho visto la televisione nella cella e ho appreso che sono macchine per far morire la gente mi è venuto un colpo’(pag. 81 vol. cit.); nella seconda: ‘per quanto riguarda i congegni elettronici trovati a casa mia confermo che mi vennero dati da Guido Cercola. Il Cercola mi disse che a casa sua non c’era nessuno e mi chiese se potevo custodire a casa mia due scatoloni di cartoni sigillati con nastro adesivo. Mi disse che dentro c’erano dei fili elettrici. Io ho creduto al Cercola e non ho mai aperto i pacchi. Tra l’altro il Cercola mi aveva detto che sarebbe passato a riprenderli dopo 2 o 3 giorni; viceversa non è più venuto a ritirarli’ (pag.269 vol. cit.). Soltanto con l’iterrogatorio del 3.7.85, reso al Procuratore della Repubblica di Firenze che indagava sulla strage, il Fiorini ha operato un mutamento di rotta, collocando in epoca anteriore al Natale del 1988 la ricezione degli scatoloni: ‘venne Cercola Guido a casa mia, suonò al portone, io scesi giù. Mi disse: mi arreggi queste due scatole? Che vi è? Domandai io; lui mi disse che c’erano fili elettrici e mi disse che sarebbe ripassato a riprendere le scatole dopo 3 o 4 giorni. Chiestogli quando avvenne questa consegna dice: dieci-qiundici giorni prima di Natale, potrebbero essere anche quindici giorni prima. In un colloquio in carcere ho chiesto precisazioni sulla data della consegna a mia moglie e lei ricorda che le due scatole furono consegnate appunto nell’epoca in cui ho detto….Io misi questi due scatoloni nell’ingresso, vicino alla cassapanca; stettero li diversi giorni e poi mia moglie disse che li ingombravano e allora li mise nella nostra camera da letto….Nel colloquio in carcere io dissi a mia moglie: ‘ma quando li hanno portati i due scatoloni?’ e lei mi disse: ‘prima di Natale’ e anche lei non ricordava se di pomeriggio o di sera. Questo colloquio in carcere avvenne dopo l’interrogatorio fatto dal G.I. dr. Galasso, che loro mi dicono avvenuto il 3.6.85. Anche prima avevo avuto colloqui con mia moglie. Loro mi contestano che nel primo interrogatorio del 1 aprile 1985 al PM di Roma io dissi…che le due scatole mi erano state date dal Cercola ‘due mesi e mezzo fa’ e mi hanno fatto presente che poi sono stato interrogato dal PM di Roma il 9.4.85 ed ancora dal GI in data 3.6.85 e mai ho portato variazioni alla indicazione della data di consegna fatta nel primo interrogatorio e mi contestano che appare anche strano che io abbia parlato con mia moglie della data di consegna delle due scatole dopo l’ultimo interrogatorio del 3 giugno, segno questo che per oltre due mesi io ero tranquillo su quella che era stata l’indicazione fornita al Pubblico Ministero. Mi si chiede se abbia ricevuto minacce o suggerimenti: ‘non ne ho ricevuti e neppure la mia famiglia. Mia moglie mi ha solo detto che pochi giorni dopo il mio arresto mi era giunta una telefonata nella quale le si diceva che se lei pagava trenta milioni io sarei uscito. Non si sa chi ha fatto questa telefonata….Ricordo anche che in quel colloquio in carcere in cui parlai con mia moglie della data di consegna dei due scatoloni era presente mio fratello Fiorini Claudio… Io feci quella domanda a mia moglie sulla data di consegna perché mio fratello mi disse: ‘sai perché sei carcerato? Per gli scatoloni, quelli sono importanti.’ ed allora chiesi a mia moglie se ricordava quella data. Io ero convinto che al Giudice Piro aveva detto che la consegna era prima di Natale….Quando mi furono portati gli scatoloni, mia moglie era in casa ed i miei figli non lo so. Il Cercola non mi aveva preannunziato il suo arrivo e non so come avrebbe fatto se non mi avesse trovato. Invitato a spiegare meglio come andò il colloquio in cui parlò con la moglie ed il fratello, dice: ‘siccome mio fratello ebbe l’uscita di cui ho già parlato sull’importanza degli scatoloni per la mia posizione processuale, io dissi che al giudice avevo detto che li avevo avuti, questi scatoloni, due mesi e mezzo prima rispetto alla perquisizione. Fu allora mia moglie a dire, ma le parole esatte non le posso rammentare, che invece la circostanza era prima di Natale. Mia moglie non disse in base a cosa collocava il fatto prima di Natale….Quindi quando io dissi al dr.Piro che gli scatoloni erano arrivati due mesi e mezzo prima dissi quanto mi ricordavo; se oggi a loro ho parlato di prima di Natale ciò dipende dall’osservazione di mia moglie, fattami nella circostanza di cui ho detto’ (pagg. 54 e segg. vol. LXXIII). Ha fatto eco a queste dichiarazioni ultime del Fiorini la moglie di questi, Raimondi Ilva, che difatti l’11.7.85 ha testualmente detto: ‘questi scatoloni…io li misi subito in camera mia in quanto volevo levarli di torno e fare si che dessero il minore ingombro possibile in casa. Faccio presente infatti che sapevo che avrei avuto ospiti per i giorni di Natale mia figlia Rita che abitava a Pomezia con il marito ed il figlio di 6 anni e siccome è un appartamento non certo grande, in cui già abitiamo in 4, non potevo certo lasciare questi scatoloni né nell’ingresso né in alcun altro locale della casa. L’unico ‘posticino libero’ era tra la finestra e l’armadio in camera mia. Per queste ragioni e per queste circostanze sono sicurissima che questi scatoloni arrivarono in casa prima di Natale. Non posso dire il giorno preciso ma ritengo che siano arrivati almeno 8-10 giorni prima di Natale….In effetti durante i colloqui avuti con mio marito in carcere si è parlato di quando gli scatoloni erano stati portati in casa dal Cercola; io non ricordo bene cosa mi ha detto mio marito ma io ho sempre detto che erano arrivati prima di Natale’ (pag.123 vol. LXVI). Nello stesso senso della Raimondi Ilva sono le affermazioni della sorella di questi, Albina: ‘ogni tanto andavo a trovare mia sorella Ilva. Una volta, ma non so precisare che giorno, capitando a casa di mia sorella notai due scatoloni che si trovavano nella stanza di mia sorella e di Virgilio, tra l’armadio e la finestra. Chiesi a mia sorella cosa c’era in quegli scatoloni che non avevo mai visto prima e che ci stavano a fare ed Ilva mi disse che non c’era niente di importante; aggiunse che si trattava di roba portata da un certo Guido, che peraltro io non conosco, il quale dovendo andare a fare un viaggio per Natale, aveva necessità che gli fossero custoditi quegli scatoloni’ (dichiar.dell’11.7.85 a pag. 121 vol.) Di scarso significato sono, invece, le affermazioni di Fiorini Claudio dal momento che questi altro non ha fatto che riferire notizie avute dal fratello Virgilio e dalla cognata Ilva: ‘mia cognata e mio fratello non hanno mai indicato una data precisa dell’arrivo degli scatoloni, però in termini più chiari mia cognata e mio fratello, [117] …. Considerazione le deposizioni testimoniali dei soli altri dei soli altri in grado di riferire sul punto, i figli dei Fiorini. Hanno fatto sapere questi: ‘come ho sempre detto a mia madre, ho visto per la prima volta gli scatoloni in occasione della visita fatta ai primi di gennaio. Sono assolutamente certa che gli scatoloni il 24.12 non c’erano perché casa di mia madre è piccola per ospitare tre persone. In più bisogna spostare delle poltrone per fare un letto di fortuna a mio figlio togliendo una poltrona dalla stanza di mia madre, poiché quando li ho visti in gennaio erano visibilissimi ed ingombravano la stanza di mia madre ed erano affianco all’armadio. Se il 24.12 fossero stati lì li avrei notati. Quando si è parlato della cosa, ho sempre detto a mia madre che gli scatoloni a dicembre non c’erano’. (dep. di Fiorini Rita resa l’11.12.85 al GI di Roma e confermata il 28.11.88 innanzi a questa Corte); ‘gli scatoloni sono arrivati a casa mia sicuramente nel mese di gennaio, dopo la befana, quattro o cinque giorni dopo. Sono assolutamente certo che arrivarono dopo la befana. Ho passato tutte le vacanze di Natale in casa mia. …Mio padre è molto confuso. Con mia madre ho insistito più volte perché a Natale gli scatoloni non c’erano’ (dep. di Fiorini Alessandro, altro figlio di Virgilio, resa l’11.12.85 al GI di Roma – v. pag.1210 vol. LXXXVII – e parimenti confermata innanzi a questa Corte all’udienza del 28.11.88); ‘non ricordo con precisione il giorno in cui apparvero a casa mia due scatoloni. Circa il mese sono sicuro che si trattava di gennaio inoltrato. Sono sicuro che durante le vacanze di Natale gli scatoloni non c’erano….Mio padre e mia madre sono molto confusi, trovandosi in mezzo a una vicenda più grande di loro. Io glielo avevo detto a mia madre che gli scatoloni a dicembre non c’erano’(dep. di Fiorini Fabrizio, ulteriore figlio di Virgilio, resa il solito giorno 11.12.85 al GI di Roma pag.1208 vol. LXXXVII). Era inevitabile che il GI di Roma escutesse ancora una volta le due Raimondi, le quali dichiaravano infatti: ‘ripensando bene all’episodio, ricordo che quando arrivarono gli scatoloni ero molto inquieta perché doveva arrivare mia figlia Rita, mio genero Maurizio Marcocci ed il loro bambino Simone di anni 6, perché la Rita era incinta e doveva partorire. Poiché però mia figlia doveva partorire in febbraio evidentemente tutto questo è successo in gennaio, …I miei parenti non ricordavano quando avevano visto gli scatoloni, soprattutto mia sorella e mio cognato, e fui io a dir loro che erano arrivati a dicembre. I miei figli, invece, hanno detto subito che mi ero sbagliata, che gli scatoloni erano arrivati a gennaio dopo le feste, dopo l’Epifania. …oggi sono assolutamente