Le reazioni politiche

Il mondo politico, inizialmente, appare diviso tra due diverse analisi: da un lato, i comunisti vedono anch’essi una continuità con la strategia della tensione, per cui la strage sarebbe funzionale a favorire sviluppi “autoritari” della situazione politica, e il segretario Natta richiama lo «scenario di coinvolgimenti, di connivenze, di complicità, di inquinamenti e di deviazioni dei servizi segreti e di frange dell’apparato dello Stato» che ha caratterizzato lo stragismo in Italia; anche il repubblicano Gualtieri dichiara: «Eravamo convinti che, fino a quando non si fosse fatta luce sul passato, il pericolo sarebbe continuato. E così, purtroppo, è stato».

Alcuni democristiani e socialisti, invece, abbracciano la pista internazionale, richiamando la minaccia di ritorsioni della Jihad islamica dopo gli arresti di alcuni libanesi in Italia: lo fa “Il Popolo” e lo fa Salvo Andò (per inciso, uno dei presunti destinatari della richiesta di aiuto di Nicoletti dopo il suo arresto), e lo stesso presidente del Consiglio Craxi afferma che non si può escludere la «mano internazionale».

Nel dibattito che si tiene alla Camera dei Deputati il 27, il ministro dell’Interno Scalfaro parla di volontà di «destabilizzazione» e invita a seguire tutte le piste plausibili. Dal canto suo, il socialdemocratico Belluscio (il cui nome è nell’elenco degli affiliati alla P2) accenna alla possibilità della pista internazionale, e più ancora lo fa il deputato del Msi Pazzaglia, che critica l’esternazione del giudice Nunziata e lancia esplicitamente l’ipotesi del terrorismo «mediorientale». Afferma invece il comunista Zangheri: “La tesi di un’eventuale componente internazionale […] deve essere suffragata da qualche prova; e in ogni caso sarebbero colpi inutili se non si collegassero ad agenti eversivi interni […]. Questi agenti interni esistono, e sono emersi più volte nei processi e nelle inchieste parlamentari; […] hanno conseguito successi, […] hanno mietuto centinaia di vittime, e certamente hanno reso più faticoso il cammino progressivo del nostro popolo. Perché non sono stati perseguiti a fondo, perché restano tanti sospetti nemici della democrazia nelle nostre istituzioni?”.

Netta anche la presa di posizione del capogruppo socialista Formica: “Con tempismo costante i seminatori di morte […] invadono la scena per ricordare pesantemente al Governo […], agli italiani e agli altri, che l’Italia non può e non deve avanzare in autonoma sovranità, non può e non deve liberarsi dai limiti di una democrazia circoscritta […].

[…] La fragilità dello Stato ha aperto varchi, mai chiusi, a poteri paralleli, a criminalità organizzata, ad inquinanti contaminazioni […] nei […] sistemi di difesa e di sicurezza. È da almeno due anni che si è fatta intensa una riflessione collettiva intorno ai temi corposi della democrazia più alta, […] della presenza internazionale più autonoma e più autorevole. […] Quando si vuole crescere in vigore democratico e in saldezza nazionale, […] si è gli oggetti del desiderio di tutte le forze di contrasto interne ed esterne. E qui noi paghiamo un grave ritardo nella […] consapevolezza che non può esservi crescita nazionale senza adeguato sviluppo della nostra sicurezza e della nostra indipendenza.”. Queste considerazioni saranno ripetute da Formica in un articolo su «la Repubblica», in cui afferma che la strage del 904 è un avvertimento per far comprendere all’Italia che «siamo e dobbiamo restare subalterni».

Secondo Giorgio Bocca, invece, la strage potrebbe esser fatta «risalire a quei poteri occulti, a quei centri di criminalità politica e mafiosa che sono stati messi negli ultimi anni con le spalle al muro». Nel dibattito parlamentare è il democristiano Rognoni, futuro vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm), a ventilare la possibilità che «in un momento in cui lo Stato è duramente impegnato contro la criminalità organizzata, l’improvviso e studiato ritorno di un fronte terroristico possa rappresentare un tentativo di alleggerire la pressione della difficile battaglia contro i commerci, i poteri, i delitti della mafia o di alte consorterie occulte»; con ciò rivelandosi, assieme a Bocca, tra i più vicini alle conclusioni cui giungeranno i magistrati.

A margine del dibattito, vengono presentate varie interrogazioni. Quella di Ronchi ed altri, per Democrazia Proletaria, ipotizza che la strage sia stata pensata «come fattore paradossalmente stabilizzante», volto a diffondere timore nell’opinione pubblica e scongiurare il possibile insuccesso del Pentapartito alle elezioni di maggio; al tempo stesso, si sottolinea che le «modalità di esecuzione, il tipo di esplosivo, di congegno a tempo di grande precisione, fanno pensare a strutture specializzate ed altamente organizzate», magari dotate di «protezioni anche in apparati dello Stato». Varie interrogazioni e interpellanze del Movimento Sociale stigmatizzano invece le dichiarazioni del giudice Nunziata, chiedendo un intervento del ministro presso il Csm. Un’interpellanza Tremaglia, Almirante ed altri, sempre del Msi, avanza esplicitamente la pista mediorientale, con diverse possibili varianti: Jihad islamica, Olp e Libia. Infine, dalla parte opposta, l’interpellanza Napolitano, Natta ed altri (Pci) ribadisce che la strage «per le sue caratteristiche si pone nel solco di numerosi, gravissimi atti terroristici […] di cui è emersa con assoluta evidenza la matrice di eversione “nera”».

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