Verso la fine degli anni ’70 si affacciò un nuovo movimento studentesco, quello che venne definito il ’77, considerato da alcuni storici una sorta di conclusione di un lungo ciclo iniziato con le mobilitazioni collettive del 1968-69. Fenomeno questo esclusivamente italiano, si inseriva in una situazione politica particolare: al successo elettorale del Pci nelle elezioni politiche del 1976 (il partito ottenne il 34, 4%, una percentuale mai toccata prima) era seguita la costruzione di un governo detto della “non sfiducia”, guidato da Andreotti e sostenuto dall’astensione di comunisti e socialisti.
Il movimento del ‘77, così come era stato per il ’68, nacque per contestare una proposta di riforma universitaria, in questo caso quella elaborata da Franco Maria Malfatti. Nel dicembre 1976 iniziò l’occupazione dell’università palermitana e poi l’agitazione si estese a tutta l’Italia e coinvolse non solo gli studenti ma anche gli studenti-lavoratori, i precari, i marginali, “i non garantiti”.
Il movimento non solo segnò una cesura netta fra i modi tradizionali della politica, dei partiti ed anche dei gruppi della sinistra nati e provenienti dalle esperienze del ’68, ma si pose in netta contrapposizione sia con il Partito comunista che con la tradizione del movimento operaio. Da parte sua il Partito comunista scelse una strada di opposizione con questo nuovo movimento, uno «strano movimento di strani studenti», come venne definito. Nessun dialogo fu quindi possibile: le azioni ed anche le parole, i modi di pensare, i punti di riferimento parevano inconciliabili. Un episodio simbolico di questa situazione è individuabile nella aspra contestazione portata al segretario della Cgil, Luciano Lama, durante un comizio tenuto il 17 febbraio 1977 nell’ateneo di Roma occupato. Lama si allontanò e duri scontri esplosero fra servizio d’ordine del sindacato e gli studenti.
Questa divisione divenne incolmabile quando, dopo l’assassinio dello studente Francesco Lorusso a Bologna il Pci decise di fare schierare il servizio d’ordine a protezione del sacrario dei caduti partigiani in piazza del Nettuno quasi a voler mostrare come il movimento fosse di tipo “squadrista”, se non addirittura fascista. All’uccisone di Francesco Lorusso seguirono tre giorni di scontri e cortei durissimi che sconvolsero la città. Il 16 marzo in piazza Maggiore il Pci, e i partiti dell’arco costituzionale, tennero una partecipatissima manifestazione in cui venne impedito al fratello di Lorusso di parlare, dopo che il funerale era stato celebrato e confinato al cimitero bolognese della Certosa. In quei giorni la città era stata militarizzata con l’intervento di cingolati che non solo sgombrarono le barricate erette in zona universitaria, ma rimasero nelle strade cittadine per qualche tempo, così come i blindati delle forze dell’ordine.
Dall’archivio di Radio Alice trasmissioni dall’11 al 14 marzo 1977
La frattura fra movimento e amministrazione – e partito comunista – segnò lungamente le dinamiche politiche e sociali di Bologna, una distanza incolmabile e una contrapposizione che si mostrò anche in occasioni delle manifestazioni che seguirono la strage di Bologna tanto che il 6 agosto 1980, giorno dei funerali di Stato, il movimento e Democrazia proletaria furono tenuti fuori dalla piazza, per impedire eventuali manifestazioni di dissenso nei confronti dell’autorità che per altro furono messe in atto egualmente dalle persone che erano in piazza maggiore. Roma fu l’altra città in cui più intensa si fece l’attività del movimento ed in cui venne uccisa durante la manifestazione del 12 maggio Giorgiana Masi.
Il movimento del ’77 aveva posto in primo piano nuove istanze: la dimensione del privato, la soddisfazione dei bisogni e dei desideri, l’esaltazione dello spontaneismo, l’esigenza di liberare ed appropriassi di spazi di espressione. L’azione politica divenne ironia e performance teatrale, non solamente per quella che venne definita l’anima creativa, gli “indiani metropolitani”, ma per tutto il movimento anche per l’area di “autonomia”, in cui potevano coesistere ironia e violenza. Indubbiamente il movimento fu anche violento, si offrì sovente all’egemonia di Autonomia operaia, considerò gli atti violenti ed aggressivi un possibile strumento di lotta, infatti reagì con rabbia e molto duramente all’uccisione di Lorusso, ad esempio. Secondo Grispigni«Il movimento è questo, la gioia, la dissacrazione e l’ironia attraversate dalla desolazione, dalla rabbia, dalla disperazione.
Una delle esperienze che caratterizzarono questo movimento fu quella delle radio libere: dal 1976, dopo una sentenza della corte Costituzionale, in Italia fu possibile aprire stazioni radio e quindi finì il monopolio statale su questo mezzo di comunicazione di massa e le radio furono sia fonte di informazione che laboratorio in cui sperimentare nuovi linguaggi. Nell’esperienza bolognese una radio divenne protagonista e, poi, uno dei simboli del movimento: ci riferiamo a radio alice che fu chiusa il 12 marzo e i cui redattori furono in parte arrestati. Il 22-24 settembre 1977 si tenne a Bologna un convegno «sulla repressione», organizzato anche in seguito al documento «contro la repressione in Italia» firmato nel luglio da numerosi intellettuali italiani e francesi fra cui Jean Paul Sartre, Michel Foucault, Gilles Deleuze, Félix Guattari, Roland Barthes e Maria Antonietta Maciocchi. In quei giorni i circa 100.000 giovani arrivati a Bologna trasformarono la città in un palcoscenico per feste, rappresentazioni teatrali e musicali, mentre all’interno del palazzo dello sport circa 10.000 persone, rappresentanti dei gruppi più organizzati e più radicali, si confrontarono anche in modo molto duro sul futuro e sulla leadership del movimento. Autonomia operaia tentò di prendere l’egemonia, ma in realtà il movimento in quanto tale non riuscì ad elaborare un programma e metodologie di lotta che permettessero la continuazione di quella esperienza e quindi si può forse affermare che il convegno tenuto a Bologna segnò una mutamento profondo nella vita del movimento.
M. Grispigni, 1977, Manifestolibri, Roma, 2006.
Gli anni Settanta : tra crisi mondiale e movimenti collettivi, a cura di Alberto De Bernardi, Valerio Romitelli, Chiara Cretella, Bologna, Archetipo libri, 2009