MARINA GAMBERINI
Lavoravo alla Cigar. Non ho un ricordo preciso dell’esplosione. Quei particolari h ho rimossi dalla mia mente e li sto ricostruendo attraverso un lungo e difficile lavoro di analisi.
I miei ricordi iniziano dal momento in cui mi svegliai. Ero sotto le macerie. C’era un gran buio, e urlavo, o almeno a me pareva di urlare forte. Sentivo le sirene delle ambulanze che giravano intorno, le mani che scavavano tra le pietre. Ho sentito che tutto si capovolgeva, non potevo muovermi. Era come se fossi in un incubo. Ero rimasta incastrata tra una grossa trave e la mia scrivania. Uno dei volontari mi è passato sopra e mi ha fatto male. Ho urlato più forte, lui ha ordinato agli altri di stare in silenzio. Hanno iniziato a scavare. Alla fine ho sentito una mano che mi prendeva e mi tirava fuori da quella posizione. Poi mi sono addormentata. Ho perso le mie colleghe. Stavamo compiendo il nostro dovere, non avevamo chiesto a nessuno di metterci una bomba sotto la scrivania. […]
La mia è veramente una vita sospesa. Dopo quella bomba, tutto è cambiato. Con le mie colleghe del ristorante c’era un’amicizia profonda, una complicità forte. Eravamo anche giovani, del resto. Non è facile dimenticarle.
Volevo fare le cose che loro non potevano più realizzare. Mi sentivo addosso la responsabilità di vivere al posto loro. E sono iniziati i sensi di colpa. Mi chiedevo. ‘Perché loro e non io?”. Sensi di colpa che ho risolto da pochi anni. Anche se non ho un ricordo diretto della bomba, mi prende il panico quando sento scoppiare i fuochi d’artificio o la sirena di un’autoambulanza. Sono cose irrazionali, meccanismi della mia mente. Soffro di crisi isteriche, non ho più sicurezze, ho paura, perdo il controllo di me stessa. Mi capita di avere le vertigini. Questo mi ha lasciato dentro la strage. Ho un figlio di 6 anni che amo tantissimo. Quel rapporto mi fa vivere davvero. Sono felice quando posso stare accanto a lui. Mi arrabbio invece quando avverto le ingiustizie della vita.
Lo sai che nessuno mi ha riconosciuto l’invalidità civile? Mi dicono: “Hai un marito. Un figlio. Conduci una vita normale”. Ma quello che accade dentro di me non conta?
Daniele Biacchessi, Un attimo …vent’anni, Bologna, Pendragon, 2001, pagg. 27, 42-43