Ma il popolo non si destabilizza

MA IL POPOLO NON SI DESTABILIZZA
Alberto Moravia, Corriere della sera 4 agosto 1980

L’attentato di Bologna, al di là del dolore che provoca l’idea che ancora una volta tanto sangue è stato sparso a piene mani secondo la logica oggi imperante dell’assurdo, fornisce la materia per alcune riflessioni che più che dell’attentato vogliono guardare al passato e al futuro, cioè al prima e al dopo la strage.
Uno dei commenti più frequenti dei testimoni oculari è stato: “Sembrava di essere in guerra”.
Questa frase, mentre dà un’immagine precisa di ciò che è la guerra per l’uomo cosiddetto della strada, cioè una strage, appunto, immotivata ed indiscriminata, ci fa capire che ancora oggi, dopo tanti omicidi, l’atmosfera del terrorismo non si è imposta come normalità.
Il paragone con la guerra sottolinea invece l’attaccamento ad un’idea diversa e pacifica della convivenza civile.
La frase potrebbe infatti essere completata così: “Sembrava di essere in guerra. Ma non siamo in guerra. E allora perché?”.
La risposta è, ovviamente, che per alcuni, pochi o molti che siano, siamo invece in guerra.
Ma bisogna stare attenti a non confondere la guerra tradizionale che, secondo Clausewitz, non è che la continuazione della politica del tempo di pace e la guerra secondo i terroristi.
Quest’ultima guerra non è la continuazione di nulla: essa non nasce dalla politica ma dal mito della violenza.
Quanto a dire che nasce immediatamente come guerra e basta.
In questa differenza sta, a parere nostro, il significato della strage di Bologna. Dunque, la strage è stata voluta in base a motivi irrazionali dal punto di vista ideologico e pratici dal punto di vista degli effetti immediati.
Chi ha parlato di follia ha avuto ragione: le radici della strage affondano nel terreno buio di una visione del mondo orribilmente privata.
Ma hanno avuto ugualmente ragione coloro che nella strage hanno ravvisato la praticità del “tanto peggio, tanto meglio”, praticità catastrofica ma evidentemente non per tutti.
Insomma si vuole provocare un clima di disperazione favorevole alle avventure.
E’ una tecnica antica a cui si è fatto ricorso in passato, qui in Italia e altrove, più e più volte.
Ma evidentemente gli autori dell’attentato di Bologna confidano che gli uomini in generale e gli italiani in particolare non abbiano memoria.
E invece non è così.
L’umanità ha una sua memoria inconscia fatta di esperienze che bisogna pure chiamare politiche.
In maniera generica possiamo affermare che, mezzo secolo fa, le masse, per motivi principalmente di ingenuità culturale, non erano del tutto sfavorevoli, sia pure a livello psicologico, al terrorismo.
Il consenso riscosso dai regimi terroristici fascisti e staliniani sta a indicare che l’estremismo esercitava un suo fascino sulle masse.
La valutazione del moderatismo in quegli stessi anni conferma questo favore per le soluzioni estremistiche.
Altra conferma venne con la guerra alla quale le masse parteciparono sia con fervore, sia con speranza. Il prezzo pagato dall’umanità più semplice per queste guerre terroristiche, cioè per queste guerre che non erano la continuazione della politica in tempo di pace ma guerre nate in partenza come omicidi organizzati, è stato terribile.
Ma sarebbe da ciechi o da terroristi non vedere che dall’esperienza del terrore è nata una consapevolezza che ha fatto sì che negli ultimi anni gli italiani abbiano detto di no al terrorismo, a tutti i terrorismi.
Certo coloro che fanno gli attentati e poi si accorgono, con stupito rammarico, che l’effetto destabilizzante non è stato ottenuto, sono liberi di pensare che l’inutilità politica delle stragi è dovuta al cosiddetto “quieto vivere”, cioè ad una tenace volontà di sopravvivenza.
Ma non è così. Il contegno tutto sommato realisticamente intrepido delle masse in questi anni di fronte allo sfrenarsi del terrorismo, ha un fondo di esperienza sofferta non invano, quanto a dire che ha un fondo politico.
L’adesione a estremismi fascisti e staliniani dell’inizio del secolo comportava inesperienza e dunque ineducazione secolare, Wilhelm Reick così spiegava il successo degli estremismi.
“Il socialismo è vecchio di cinquant’anni, il fascismo è vecchio di quattro mila anni”.
Queste parole rispecchiavano lo sconforto del momento; oggi, probabilmente, non verrebbero più scritte.
Oggi, si direbbe che qualche cosa, anzi molto, sia cambiato, se non nei governanti certamente nei governati.
L’educazione politica, stavamo quasi per dire sentimentale, ha attaccato.
Gli italiani, come del resto tanti altri popoli, almeno in Europa, vedono, riflettono, non si lasciano più destabilizzare sia individualmente, sia collettivamente.
In questa consapevolezza del fatto che mentre il terrorista non può realizzarsi che nella violenza, le società si realizzano invece nella persuasione, sta, secondo noi, il maggiore baluardo delle nostre istituzioni.

 

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