È stato il decennio della partecipazione civile e delle riforme, ma anche quello delle vittime e dei carnefici. (Giovanni Moro, Anni Settanta, Einaudi, 2007).
Nel 1969 vi furono in Italia 145 attentati dinamitardi (di cui 96 sicuramente attribuiti all’estrema destra) in luoghi diversi: il 15 aprile una bomba distrusse lo studio del rettore dell’Università di Padova Enrico Opocher. Il 25 aprile fu poi colpita la fiera di Milano e l’ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni che aveva sede nell’atrio della Stazione centrale; in questo stesso giorno, a Brescia, venne devastata la sede Anpi, fatta saltare la lapide dedicata ai partigiani in piazza della Loggia e furono aggrediti ex-partigiani. Anche i treni erano un bersaglio possibile e nella notte tra l’8 e il 9 agosto 1969 vennero collocati dieci ordigni su convogli ferroviari, di questi otto esplosero ferendo dodici passeggeri. Secondo una ricerca presentata dalla Giunta regionale lombarda in quella regione nel 1969 vi furono 400 episodi di violenza di matrice neofascista, quindi uno ogni due giorni. Sicuramente tutti questi episodi cercavano di «catturare l’attenzione provocando shock, orrore e paura», una strategia caratteristica delle azioni terroristiche.
Il 12 dicembre 1969 a Milano era giorno di mercato e in Piazza Fontana, dove si svolgeva tradizionalmente la contrattazione delle merci agricole e dove vi era la Banca dell’Agricoltura aperta anche il pomeriggio e particolarmente frequentata, alle 16 e 37 l’esplosione di una bomba provocava la morte di 16 persone e il ferimento di altre 84.
Contemporaneamente a Roma deflagrarono altri ordigni: alla Banca nazionale del lavoro, dove vi furono 14 feriti, all’Altare della patria e all’entrata del Museo del Risorgimento. Una quinta bomba venne rinvenuta, inesplosa, alla Banca commerciale di Milano, in piazza della Scala.
Le vittime erano quindi tutti clienti della banca, per la maggior parte in Piazza Fontana per il mercato.
La strage di Piazza Fontana segnò profondamente l’Italia: «Ho pensato che cominciava davvero un periodo cupo, un periodo atroce», ricorda Corrado Stajano e nessun cittadino aveva fino ad allora nemmeno immaginato la possibilità di assistere ad un delitto così efferato; inoltre, come fu ben presto chiaro, uomini dei servizi segreti italiani erano coinvolti in quel «terreno vischioso che corre parallelo a tutta la storia repubblicana [rappresentato dal] rapporto tra gli apparati di ordine pubblico e ambienti neofascisti», come scrisse in seguito lo storico Craveri. Il coinvolgimento di uomini dei servizi segreti e l’innalzamento così forte della violenza colpì e spaventò gli italiani. Scrisse Giorgio Bocca che «per la prima volta gli italiani avevano l’impressione di essere stati ingannati, traditi dal loro Stato».
Piazza Fontana, racconto di una strage/ Rai play
Il contesto politico e sociale in cui avvenne la strage di piazza Fontana era particolare visto che vi era in atto un largo movimento che chiedeva cambiamenti anche strutturali della società italiana, inizialmente gli studenti nel 1968 e poi gli operai nell’autunno del 1969 con manifestazioni, scioperi e occupazioni ponevano all’attenzione degli italiani l’esigenza di radicali riforme politiche, culturali e sociali, in sostanza veniva chiesta la possibilità di partecipare più attivamente alle scelte politiche.
A partire dalla primavera del 1968 ripresero gli scioperi e gli studenti si schierarono a sostegno degli operai, le cui rivendicazioni avevano in comune alcuni punti con quelle studentesche: l’egualitarismo, il rifiuto alla delega e l’antiautoritarismo, ad esempio. Le lotte si intensificarono fino ad arrivare, nel 1969, a quello che fu definito “l’autunno caldo”: uno dei risultati di questa stagione di lotte fu l’approvazione, nel 1970, dello Statuto dei lavoratori e la conquista delle 40 ore settimanali, gli aumenti salariali e l’acquisizione del diritto a tenere le assemblee sindacali in orario di lavoro.
In quegli anni alta era la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, grande affluenza al voto e alta partecipazione ai referendum; numerosi e differenti erano i tipi di mobilitazione messi in campo dai movimenti di azione collettiva dei giovani, dei lavoratori, delle donne, dai comitati di quartiere, e da innumerevoli esperienze comunitarie che coinvolgevano larghi strati della popolazione. Il movimento delle donne poneva al centro dell’attenzione temi come quello della violenza sulle donne, dell’aborto, del divorzio, del diritto di famiglia, del ruolo delle donne nella società.
Gli anni Settanta furono un momento in cui forti erano le richieste di mutamenti e la voglia-necessità di impegnarsi per l’affermazione di valori e principi e per ottenere riforme. Riforme che, in effetti, ci furono, anche se non applicate e realizzate nel modo incisivo da molti richiesto. Nei primi anni Settanta si ebbero l’attuazione delle Regioni e dell’istituto del referendum, l’introduzione della legge sul divorzio, la legge sulla casa, lo Statuto dei lavoratori e la legge che legalizzava l’obiezione di coscienza al servizio militare, nel 1975 vi furono le riforme della Rai, del diritto di famiglia, del sistema carcerario e la legge per l’istituzione dei consultori famigliari. Nel 1978 la riforma sanitaria, la legge 180, la cosiddetta Basaglia e la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. Venne riconosciuto il diritto di voto ai diciottenni.
Nel 1970 prendono vita le Brigate rosse ed iniziano la prima fase delle loro azioni, definita della “propaganda armata”.
Fra il luglio 1970 e il maggio 1973 vi furono numerosi attentati dinamitardi, in tre casi avvennero delle stragi: il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro (RC), il 31 maggio 1972 a Peteano di Sagrado (GO) e il 17 maggio 1973 alla questura di Milano.
Il 12 maggio 1974 si tenne il referendum che confermò la legge sul divorzio
Il 28 maggio 1974 Cgil, Cisl e Uil e il Comitato permanente antifascista di Brescia avevano indetto uno sciopero generale cittadino di quattro ore in seguito ai molti episodi di violenza messi in atto da gruppi neofascisti, numerosi attentati erano infatti stati compiuti, nei mesi precedenti, in Lombardia, Emilia e Toscana. Era una mattinata di pioggia e alle 10 e 12 minuti, mentre in Piazza della Loggia stava parlando il sindacalista della Cisl Franco Castrezzati, scoppiò una bomba posta in un cestino per i rifiuti, sul lato est, sotto i portici. I morti furono 8 e 103 i feriti.
Blu notte: Piazza della loggia, il luogo della memoria, Raiplay
Qualche mese dopo la strage di Piazza della Loggia, il 4 agosto del 1974, nel cuore della notte alle ore 1.30, mentre il treno Italicus che partito da Roma avrebbe dovuto raggiungere Monaco di Baviera usciva dalla galleria della Direttissima, sulla linea ferroviaria tra Firenze e Bologna una bomba esplose nel secondo scompartimento della sua quinta carrozza. I morti furono 12, i feriti 44.
La notte della Repubblica. Le stragi di Piazza della Loggia e dell’Italicus
Le stragi del 1974 segnavano la fine di una prima fase della strategia della tensione. In seguito vi furono mutamenti nella politica nazionale ed internazionale, nei gruppi neofascisti e nelle loro azioni, così come nelle strategie di alcune organizzazioni strettamente legate all’eversione e alle “minacce alla democrazia” quali quelle della Loggia massonica P2. Nel 1974 fu anche elaborato l’ultimo piano per organizzare un eventuale colpo di stato in Italia: era il “golpe bianco” di Edgardo Sogno, preceduto dal piano Solo del 1964 e dal golpe Borghese del 1970. Ebbero fine in Europa i regimi dittatoriali greco e portoghese. L’anno successivo, con la morte di Francisco Franco, anche la Spagna si avviò ad avere un governo democratico.
Nel 1974 con il primo omicidio perpetrato dalle Brigate Rosse (17 giugno) e l’arresto di due dei fondatori dell’organizzazione terroristica, Renato Curcio e Alberto Franceschini (8 settembre), finiva la prima fase delle azioni di questo gruppo. Iniziava la seconda, quella dell'”attacco al cuore dello Stato”.
Gli anni che andarono dal 1969 al 1974 furono quindi caratterizzati anche dall’alto livello di violenza politica cui si è fatto cenno e, secondo le riflessioni che Aldo Moro affidò al suo Memoriale: “la così detta strategia della tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia nei binari della “normalità” dopo le vicende del ’68 e dell’autunno caldo. […] E’ doveroso alla fine rivelare che quello della strategia della tensione fu un periodo di autentica e alta pericolosità, con il rischio di una deviazione costituzionale che la vigilanza delle masse popolari non permise”.
Verso la fine degli anni ’70 si affacciò un nuovo movimento studentesco, quello che venne definito il ’77, considerato da alcuni storici una sorta di conclusione di un lungo ciclo iniziato con le mobilitazioni collettive del 1968-69.
E’ stato affermato che fino alla prima metà degli anni Settanta all’interno della galassia di sigle e movimenti dell’estrema destra extraparlamentare vi erano stati sostanzialmente «tre tronconi: i movimenti filogolpisti, i movimenti radicali con modalità di azione che oscillavano tra legalità e azioni terroristiche [di ispirazione evoliana fra i quali spiccavano Ordine nero e Avanguardia nazionale] e i movimenti di contro-mobilitazione presenti nelle zone di acuta tensione sociale capaci di attivare appartenenti a diversi gruppi sociali». Gli scritti di Evola, le parti più esoteriche e più legate alla mistica neonazista, all’ideologia e alla vita delle SS del pensiero neofascista avevano avuto un grande successo per una parte della galassia dell’estrema destra.
Nella seconda metà degli anni Settanta nell’estrema destra si andavano perdendo i riferimenti diretti all’esperienza del fascismo del Ventennio e della Repubblica sociale, o meglio si mostrava una insofferenza verso la «retorica della nostalgia», alcuni dei gruppi storici, come Ordine Nero, Ordine nuovo e Avanguardia Nazionale non esistevano più, si faceva largo un modo diverso di vivere la militanza nell’area neofascista o della destra radicale. Anche la strategia proposta da alcuni militanti dei gruppi disciolti mutava.
Secondo storici e politologi si può affermare che la nuova destra italiana sia nata nel 1977 con l’organizzazione e l’inaugurazione l’11 giugno del “campo Hobbit”, il «primo festival di musica, spettacolo e grafica dell’estrema destra» in cui si coniugava il modello dei raduni pop ai Littoriali della cultura, dove si trattava di «magia, esoterismo, paganesimo, culto della natura e della festa, fascinazione esercitata dai miti nordici e dall’universo fantastico di Tolkien».
Proprio in quegli anni riprese corpo l’azione dell’estrema destra, e nacquero organizzazioni come i Nuclei armati rivoluzionari (Nar), Terza posizione (Tp) e Costruiamo l’azione (Cla).Uno degli obiettivi principali era la riaggregazione dei gruppi e delle persone che si trovavano isolati dopo lo scioglimento delle organizzazioni precedenti. I Nar intendevano mettere a disposizione di tutta l’area della destra una sorta di parola d’ordine con cui attestare, attraverso i fatti, la condivisione di un progetto complessivo, la strategia proposta era quella dello scontro, anche con le forze dell’ordine, della violenza, del terrorismo, degli assalti a mano armata in sedi di partiti o di istituzioni culturali così da creare una situazione di estremo terrore e confusione per arrivare, quindi, ad una non meglio identificata rivoluzione con la conseguente “disgregazione del sistema”.
Iniziò quello che il maggior studioso di questi temi, Franco Ferraresi, definì lo spontaneismo armato, ovvero, secondo la definizione di Sergio Zavoli: «una sorta di dichiarazione di guerra indiscriminata al sistema borghese con ossessivi inni all’impegno e alla lotta, al sacrificio e alla morte».
Nel 1978 si ebbe il culmine dell'”attacco al cuore dello Stato” con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro.
La strage alla stazione di Bologna segna, in un certo senso, la fine degli anni Settanta.