Proposta di relazione del Presidente Pellegrino -Bologna

Proposta di relazione del Presidente Pellegrino

Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e sulla mancata individuazione dei responsabili delle stragi

CAPITOLO XI: GLI ANNI ’80

SEZIONE II – LA STRAGE DI BOLOGNA

1.1. Le indagini sulla strage di Bologna proseguirono su quella che già in sede governativa appariva la pista più accreditata (228). E che ha da pochissimo portato alla formazione di un giudicato di condanna di due esponenti di punta dell’estremismo eversivo di destra, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, quali autori materiali della strage.

1.2. Le indagini avevano conosciuto, soprattutto, ma non soltanto nella sua fase iniziale, le consuete estreme difficoltà dando luogo a tre procedimenti distinti che furono tutti riuniti nel giudizio di primo grado che si celebrò dinanzi alla Corte di assise di Bologna. Il primo campo di indagine era quello che aveva ad oggetto l’episodio centrale, e cioè la tragica esplosione della mattina del 2 agosto all’interno della stazione ferroviaria di Bologna, per la ricerca e l’individuazione dei responsabili di quel crimine e del nucleo operativo allo scopo attivatosi. Il secondo settore di indagine era quello della calunnia, o del depistaggio, che riguardava le responsabilità relative alla segnalazione della pista – ritenuta falsa perché artificiosamente costruita – che gli inquirenti avrebbero dovuto seguire, soprattutto dopo il rinvenimento di una valigia carica di esplosivo sul treno Taranto-Milano, la notte del 13 gennaio 1981. Il terzo campo di indagine riguardava l’esistenza di una complessa strategia eversivo-terroristica dispiegatasi nel corso di più anni, della quale la strage di Bologna aveva costituito uno dei momenti più significativi, in un cinico piano di controllo del potere istituzionale, nel quale erano confluite tendenze eversive di segno anche diverso, tuttavia di ispirazione ideologica di destra. Gli altalenanti esiti processuali cui ha condotto la vicenda giudiziaria sono riassunti nelle schede allegate alla relazione Colaianni del 1992. Senza indulgere in inutili ripetizioni, quelle risultanze possono essere aggiornate rammentando come, dopo la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 12 febbraio 1992, la Corte di assise di Bologna con sentenza del 13 maggio 1994 ritenne responsabili della strage, quali autori materiali, Mambro e Fioravanti, e un personaggio indubbiamente minore, Sergio Picciafuoco, un delinquente comune collegato peraltro alla destra eversiva e sicuramente presente sul luogo della strage dove rimase ferito. Assolse invece dall’imputazione di strage un altro noto esponente della destra eversiva, Massimiliano Fachini; sanzionò le responsabilità per gli episodi di depistaggio che avevano inquinato le indagini due personaggi vicini ai servizi, Gelli e Pazienza, e due ufficiali del Sismi, Musumeci e Belmonte. E’ su tale complesso di condanne che si è formato il recentissimo giudicato, avendo la Corte di Cassazione – ancora a Sezioni Unite – cassato soltanto la condanna di Picciafuoco, per il quale ha disposto un ulteriore rinvio. Al momento della stesura della presente relazione le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione non sono note. La stessa costituisce peraltro il punto di arrivo di una vicenda giudiziaria ancora una volta estremamente complessa, in esito alla quale la strage di Bologna non può più annoverarsi tra le stragi insolute. A livello di giudicato deve ritenersene quindi certa la riferibilità alla destra eversiva, almeno nella sua esecuzione materiale; altrettanto certo, sul piano dell’accertamento finale di responsabilità, deve ritenersi l’inquinamento probatorio operato dal servizio militare di informazione nel collegamento di suoi uomini alla Loggia massonica P2; e ciò non solo in virtù della condanna di Gelli, ma dell’affiliazione certa alla Loggia di Musumeci e Pazienza.

2. Se tale esito definitivo esime dal dover ripercorrere la varie fasi della vicenda giudiziaria, non vi è dubbio che appare comunque dovuta dalla Commissione una riflessione complessiva in ordine all’esito medesimo, per coglierne gli elementi (ma anche i limiti) di coerenza, in cui esso viene ad inserirsi nel mosaico che la Commissione ha inteso ricostruire. Dovuto è peraltro in limine riconoscere il forte contributo che alla ricostruzione di tale mosaico è venuto dalle indagini attivatesi sulla strage bolognese, se è vero che anche la sentenza di gradi di appello (12 luglio 1990), che pur perveniva ad esiti prevalentemente assolutori in difformità della sentenza di primo grado (11 luglio 1988), aveva riconosciuto che quest’ultima aveva “provveduto ad un’ampia esauriente e minuziosa ricostruzione del quadro storico-politico-istituzionale in cui, a partire dalla metà degli anni sessanta, si dispiegò l’attività della cosiddetta destra extraparlamentare […] in espressioni di lotta armata contro forze antagoniste di sinistra e contro le pubbliche istituzioni”.

3. Rilevante appare infatti, in una riflessione ormai giunta quasi alla sua fase conclusiva, che l’altalenanza di risultati giudiziari in ordine alla strage bolognese si accentrò appunto in ordine al (discusso) rilievo attribuibile nella sede giudiziaria penale al dato storico costituito da una compiuta ricostruzione di eventi anteriori. A tale riguardo, nella sentenza di primo grado, venivano posti due punti fermi. Il primo, che lo strumento stragista costituiva un dato proprio della strategia di lotta eversiva e terroristica della destra e che questa, fattualmente, alla strage aveva più volte fatto ricorso. Il secondo, che prima e dopo la strage di Bologna più informazioni avevano segnalato la riferibilità del fatto alla destra eversiva nella quale erano presenti preoccupanti fermenti di rilancio, anche mediante attentati indiscriminati negli obiettivi, tali da spargere un diffuso terrore e un bisogno di risposta forte e autoritaria. La struttura probatoria posta a sostegno di tale tesi si articolava essenzialmente: negli accertamenti giudiziari compiuti nei diversi procedimenti celebrati per vari altri episodi delittuosi di attentati indiscriminati contro l’incolumità pubblica o mirati contro talune persone; nelle dichiarazioni rese da ideologi e/o militanti del terrorismo eversivo, in vario modo e diversa misura apertisi a una revisione critica dei loro comportamenti e delle loro posizioni ideologiche; nelle confidenze raccolte, dentro e fuori il circuito carcerario, da alcuni degli esponenti più noti ed attivi della strategia terroristico-eversiva, resasi responsabile di gravi fatti delittuosi; nelle risultanze di numerosi documenti progettuali e/o ideologici prodotti in diverse circostanze di tempo e di luogo dalle diverse componenti dell’arcipelago eversivo. In tale quadro di insieme si inserivano quindi gli accertamenti di circostanze specifiche relativi all’evento stragistico e alla condotta degli imputati che a questo venivano indiziariamente a ricollegarsi.

3.1. La Corte di assise di appello di Bologna, invece, nella sentenza del 18 luglio 1990, ribaltò tale impostazione di fondo, affermando che la riferibilità alla destra eversiva della strage bolognese non era nulla più di una ipotesi verosimile. L’idea stragista, pur circolante in quell’area, non poteva considerarsi elevata ad espressione di un programma riferibile a gruppi od organismi ben individuati, ma era rimasta come manifestazione di intendimenti generici riferibili a singole persone. Nessun dato significativo poteva ricavarsi dalle elencazione dei fatti stragistici consumati negli anni precedenti, se non quello utilizzabile per la ricostruzione di un periodo oscuro della storia del nostro paese, periodo che, peraltro, non aveva ancora avuto completa e soddisfacente chiarificazione. La riferibilità di stragi ed attentati ad un’unica matrice di destra non poteva avere quindi, i caratteri della certezza in quanto anche nei procedimenti penali relativi ad altri avvenimenti stragisti, tale certezza non si era, allo stato, raggiunta.

3.2. Ma le sezioni unite della Corte di Cassazione, nella sentenza del 12 febbraio 1992, censurarono la motivazione del giudice d’appello, espressamente ribadendo il concetto che, nell’ambito fissato dalla acquisizioni processuali e con il rigore dell’accertamento giudiziale, il giudice, nell’approccio ad un evento delittuoso di carattere politico sottoposto al suo accertamento, non può rinunciare alla ricerca e alla valutazione di tutte quelle circostanze che formano il contesto storico-politico del fatto e che sono direttamente utili alla comprensione della sua causale; concludendo che dalla individuazione di questa possono emergere preziosi apporti per l’accertamento definito del fatto e delle responsabilità individuali.

3.3. Su tale scia la Corte di assise di appello di Bologna, in sede di rinvio, nella sentenza del 16 maggio 1994 ribadì la matrice di destra nella strage di Bologna, che inserì nell’ambito dei numerosi attentati terroristici compiuti in precedenza, e per i quali la responsabilità di appartenenti alla destra radicale era stata accertata in via definitiva. In particolare i giudici del rinvio rammentarono, con un’elencazione che alla Commissione appare di notevole rilevanza, che è pacifica l’affermazione di responsabilità di esponenti del gruppo veneto che faceva capo a Freda e Ventura in ordine ai 17 (dei 22 complessivi) attentati terroristici con finalità stragiste perpetrati dall’aprile al dicembre 1969. E’ pure pacifica la responsabilità “confessata” del neofascista Vincenzo Vinciguerra per la strage di Peteano del 31 maggio 1971. Per l’attentato al direttissimo Torino-Roma, commesso a Genova il 7 aprile 1973, sono stati giudicati responsabili Nico Azzi, Mauro Marzorati, Francesco De Min e Giancarlo Rognini, tutti appartenenti alla formazione di estrema destra “La Fenice” (sentenza della Corte di Assise di Appello di Genova in data 27 ottobre 1977, divenuta definitiva il 15 novembre 1978). Per la strage di Milano del 17 maggio 1973 è stato riconosciuto colpevole Gianfranco Bertoli, la cui appartenenza alla destra non è stata esclusa dalla sentenza irrevocabile di condanna all’ergastolo pronunciata dalla Corte di Assise di Milano (229). Per gli attentati alla linea ferroviaria Chiusi-Arezzo, 31 dicembre 1974 e 6 e 7 gennaio 1975, con sentenza passata in giudicato della Corte di assise di Arezzo del 28 aprile 1976 sono stati condannati, per il delitto di strage, Mario Tuti e Luciano Franci i quali sono stati anche riconosciuti colpevoli – in quella medesima sentenza ed in altra della Corte di Assise di Appello di Firenze in data 2 dicembre 1989 – dei delitti di ricostituzione del partito fascista e di partecipazione ad una associazione sovversiva che “faceva riferimento al disciolto movimento politico Ordine Nuovo o ad Avanguardia Nazionale, che usava, tra l’altro, sigle quali ‘Ordine Nero’ che aveva protratto la sua attività in varie province della Toscana dalla fine dell’anno 1973 fino agli inizi del 1975”. Per gli attentati di Maiano (Casa del Popolo) del 22 aprile 1974 e di Vaiano (linea ferroviaria Firenze-Bologna) sono stati ritenuti responsabile vari terroristi neofascisti toscani con sentenza della Corte di assise di appello di Firenze del 21 dicembre 1989. Vi sono infine gli attentati dinamitardi del M.R.P. di cui si è apertamente dichiarato responsabile Marcello Iannilli, e precisamente: nel 1978 al Ministero di Grazia e Giustizia, alla SIP, all’autoparco comunale della Prefettura di Roma, nel 1979 al C.S.M., a Regina Coeli, al Campidoglio e al Ministero degli Esteri; attentati tutti giudicati con sentenza della Corte di Assise di Roma divenuta definitiva.

4.1. Su tali basi una prima riflessione sembra dovuta. In relazione alla strage alla stazione di Bologna si è in presenza di un canone giudiziario ben più severo e rigoroso di quello che ha condotto in precedenti vicende giudiziarie ai già ricordati esiti assolutori – sia pure a volte pronunciati con la formula dubitativa – in ordine alle stragi insolute. Anche per queste, infatti, vi erano a carico dei singoli imputati indizi consistenti che assumevano significato ove riferiti ad un contesto eversivo di insieme. Tanto non fu però ritenuto sufficiente per giungere ad una definitiva pronuncia di condanna. Vero è che con il tempo il contesto è venuto sempre più a chiarirsi e ciò può giustificare il diverso esito giudiziario che la strage di Bologna ha avuto rispetto alle stragi anteriori. A tanto potrebbe aggiungersi che il trascorrere del tempo restringe gli ambiti di indicibilità che inizialmente coincidevano con gli ambiti di invisibilità propri della realtà occulta in cui maturarono gli eventi stragisti. E tuttavia una ulteriore notazione appare ineludibile ad una riflessione serena e cioè non informata ad una aprioristica scelta di campo. Gli eventi di strage che si verificarono nella prima metà degli anni settanta si inserivano in un contesto ben più chiaro e definito di quello che caratterizzò poi la situazione nel paese sul finire del decennio. Vuol dirsi che, se pure è certo il permanere nella destra radicale di componenti stragiste, pur nella fase di spontaneismo armato (in tal senso la mancata strage romana di piazza Indipendenza del 1979 appare dotata di concludenza esemplare), resta se non oscuro almeno non completamente chiarito il complessivo disegno strategico in cui sarebbe venuta ad inserirsi la strage bolognese di cui Fioravanti e Mambro – e cioè due rappresentanti di punta dello spontaneismo armato – sono stati ritenuti gli autori materiali. Trattavasi comunque di un contesto che sia sul piano interno che su quello internazionale era completamente diverso da quello in cui maturarono gli eventi stragisti del periodo 1969-1974. Sicché non solo sembrerebbe dovuto escludere in sede conclusiva l’esistenza di un unico disegno che colleghi la strage di Bologna a quelle del periodo anteriore, ma anche la sua riconducibilità al medesimo “contesto unitario” appare fortemente opinabile. In realtà la situazione interna e internazionale dell’agosto del 1980 era tale da rendere inverosimile l’ipotesi che gruppi eversivi coltivassero ancora velleità golpiste, coltivassero ancora cioè un disegno in cui strumentalmente inserire un evento di strage, nella logica che probabilmente ispirò l’attentato di piazza Fontana del 1969. Analogamente al limite della verosimiglianza si situerebbe, a dieci anni di distanza dal fallito golpe dell’Immacolata, l’attribuzione della strage di Bologna all’intento di una o più frange dell’estremismo di destra di contrastare l’abbandono della strategia golpista da parte di altre frange della stessa area, che è probabilmente la spiegazione più logica delle due stragi insolute del 1964. Non si sottovaluta la forte argomentazione che, nelle decisioni giudiziarie citate, sorregge l’assunto che la strage abbia potuto costituire un “segnale forte” nell’ambito delle dinamiche interne che segnarono nel periodo la costellazione dei gruppi della destra eversiva. Così come non è in discussione il dato, processualmente certo, relativo alla persistenza anche nella fase dello spontaneismo armato di una attitudine stragista. L’episodio del mancato attentato al C.S.M. è, come già rilevato, di innegabile concludenza. Alla possibile obiezione circa l’estraneità del mezzo stragista all’ideologia dello spontaneismo – e quindi all’interrogativo sul “canale” attraverso cui tale mezzo vi sarebbe penetrato – conviene ricordare la presenza ed il ruolo tutt’altro che marginale entro tale mondo di personaggi dell’area stragista quali Fachini e Signorelli.

4.2. Analogamente non è chiaro cogliere il disegno strategico in cui venne ad inserirsi il depistaggio posto in essere da Musumeci e Belmonte. Lo stesso è peraltro innegabile. Il direttore del Sismi dell’epoca, ammiraglio Martini, audito dalla Commissione nella seduta dell’11 luglio 1995 lo ha attribuito alla mera volontà di conseguire un illecito profitto. E’ una spiegazione minimizzante che lascia francamente perplessi. Né la Commissione può abbandonare sul punto il canone valutativo adottato in ordine ad anteriori episodi di depistaggio verificatisi nelle vicende giudiziarie relative alle stragi insolute, in merito alle quali si è rilevato che l’atto di depistaggio, se opportunamente decrittato, può concorrere ad individuare l’ambito di responsabilità che il depistaggio intendeva coprire. In tale prospettiva il depistaggio posto in essere da Musumeci e Belmonte, in linea con le responsabilità parimenti accertate di Gelli e Pazienza, riconduce verso una “zona grigia” romana di intrecci collusivi tra settori dei Servizi, mondo degli affari, criminalità comune e organizzata, affiliati alla loggia massonica P2. E’ una zona grigia la cui esistenza è innegabile, come già osservato, ma altrettanto innegabile è che la stessa non sia ancora adeguatamente conosciuta, soprattutto nelle sue dinamiche interne. Non è da escludere che un chiarimento venga da indagini giudiziarie ancora in corso ed anzi è doveroso auspicarlo.

4.3. La contiguità tra protagonisti dello spontaneismo armato e tale “zona grigia” può peraltro ritenersi certa. Ed è profilo che, con riferimento alle specifiche posizioni di Fioravanti e Mambro, risulta abbastanza trascurato nella polemica che si è accesa intorno ai dubbi sulla loro colpevolezza avanzati da settori abbastanza ampi della pubblica opinione. In ordine ai contenuti di tale polemica (che il formarsi del giudicato finale di condanna non sembra aver del tutto sopita) osserva la Commissione come a dare contenuto alla stessa non può valere una pretesa esilità degli indizi che fondavano l’ipotesi accusatoria. Ed infatti non è solo il rispetto dovuto al giudicato di condanna, ma una loro serena valutazione che spinge ad attribuire a tali indizi una apprezzabile consistenza. Opportuno è semmai ribadire come sia la specificità del contesto nazionale ed internazionale della fine del decennio (del tutto diverso rispetto a quello in cui si inseriscono le stragi insolute) che spinge ad affermare l’opportunità che indagini ulteriori su tale contesto facciano maggiore luce, chiarendo il quadro complessivo (anche di complicità e collusioni) in cui venne a maturare l’intento stragista. Mentre appare, per converso, se non irrilevante sicuramente non decisiva la circostanza che Mambro e Fioravanti, pur rei confessi di numerosi ed efferati crimini, continuino a negare la loro responsabilità per la strage bolognese. E ciò perché, in disparte la impossibilità di godere di benefici carcerari che deriverà dalla loro accertata responsabilità per la strage di Bologna, è umanamente comprensibile il loro desiderio di dar senso ad una individuale esperienza come combattenti sconfitti di una guerra rivoluzionaria, in cui l’e vento di strage non era contemplato quale possibile mezzo. In ciò chiarendosi anche l’origine psicologica della solidarietà che hanno trovato in protagonisti della fazione opposta, a loro accomunati nell’esito complessivo di una sconfitta che – sia pure in limiti precisi – può ritenersi generazionale.

NOTE

228) In tale direzione il Presidente del Consiglio diede disposizione che si attivassero i servizi di informazione e sicurezza, con l’avvertimento però che gli stessi avrebbero dovuto riferire in ordine ai risultati dell’attivazione direttamente all’autorità di governo e non alla magistratura inquirente. L’atteggiamento appare alla Commissione istituzionalmente corretto, non costituendo i Servizi organi di polizia giudiziaria; e tuttavia sembra trasparirvi la preoccupazione che l’attività informativa potesse portare in luce alcuni dei legami tra apparati istituzionali e destra eversiva che, come si è visto, sono stati per lungo tempo occultati, quale esito, sul piano di un’oggettività ormai innegabile, dei depistaggi che costantemente hanno accompagnato le indagini giudiziarie sugli eventi di strage che segnarono il periodo. Sta di fatto che il servizio militare di sicurezza ancora una volta si attivò e, contravvenendo alle direttive del Presidente del Consiglio, fornì all’autorità giudiziaria inquirente contributi che possono oggi in termini di certezza affermarsi depistanti

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