Iter processuale

Le indagini si indirizzano subito su una duplice pista: quella napoletana, che ha origine nell’anticipazione della strage che Carmine Esposito – un ex poliziotto di estrema destra, che aveva appena trascorso un breve periodo di detenzione – aveva fatto alcuni giorni prima alla questura di Napoli, e che porta verso il clan di Giuseppe Misso, gruppo camorristico il cui leader ha anch’egli posizioni neofasciste, e verso Massimo Abbatangelo, parlamentare del Msi; e quella romana, aperta dall’arresto di Guido Cercola, braccio destro e factotum di Pippo Calò a Roma, che porta al ritrovamento di due congegni radioelettrici in grado di innescare un’esplosione compatibili con quelli usati per la strage, di due pani di esplosivo Semtex H (di cui uno ridotto di circa un chilo), sei cariche di tritolo (di cui una mancante di 40 grammi) e nove detonatori, anch’essi compatibili con quelli usati per l’attentato. Nell’ottobre 1985 Calò è incriminato come mandante della strage, mentre altri 22 ordini di cattura sono emessi per Misso e i suoi per reati di camorra; tra i ricercati è anche Gerlando Alberti jr, legato alla famiglia di Calò ma “trapiantato” nel clan Misso e di fatto elemento di collegamento tra le due realtà. Misso riceve inoltre una comunicazione giudiziaria per la strage del 904, e così di lì a poco Abbatangelo.

Nel gennaio 1986 il pubblico ministero Pierluigi Vigna chiede il rinvio a giudizio di Calò, Cercola, e altri tre esponenti del gruppo romano, e di Misso, Abbatangelo e altre tre persone del gruppo napoletano: nell’ipotesi accusatoria, la strage sarebbe il frutto di un intreccio di interessi, di mafia, camorra e destra eversiva, e finalizzata a «distogliere l’impegno della società civile dalla lotta contro la mafia», produrre «effetti destabilizzanti […] e di blocco del paese sulla via della democrazia». Il magistrato ipotizza dunque «una pluralità di valenze» della strage, frutto del legame tra settori della mafia e della camorra, e tra questi e altri poteri, dalla destra eversiva alla banda della Magliana, e di una convergenza di interessi tra questi soggetti. Pochi mesi dopo, mentre Abbatangelo viene eletto deputato e dunque la sua posizione è stralciata, alla vigilia del processo uno degli imputati, Friedrich Schaudinn – ritenuto l’artificiere della strage – fugge nella Repubblica Federale Tedesca.

Nel febbraio 1989 è emessa la SENTENZA DI PRIMO GRADO: sono condannati all’ergastolo per i reati di strage, attentato per finalità terroristica ed eversiva, banda armata, fabbricazione e detenzione di esplosivi, Calò e Cercola del gruppo romano, e Misso, Galeota e Pirozzi tra i napoletani; per gli stessi reati, ma con le attenuanti, sono condannati anche Franco Di Agostino (28 anni) e Friedrich Schaudinn (25 anni), pure del gruppo romano. Per il giudice Sechi, la strage aveva «molteplici finalità»: «Indebolire il sistema democratico del nostro Stato; distogliere con false emergenze l’impegno civile, politico e giudiziario e determinare, dunque, quella situazione di incertezza e di disorientamento dei pubblici poteri e di sfiducia in questi da parte dei cittadini che sono i presupposti indispensabili per la crescita […] del proprio potere (mafioso)».

Nel marzo 1990 la Corte d’APPELLO di Firenze conferma le condanne di Calò, Cercola e Di Agostino, ma assolve Misso, Galeota e Pirozzi dai reati di strage, attentato e banda armata. La Corte, cioè, ritiene credibili le riunioni “politiche” del clan Misso e la consegna di esplosivi al clan da parte di Abbatangelo, ma non giudica questi elementi sufficienti a provare il nesso con la strage.

Circa un anno dopo, la I sezione della Corte di CASSAZIONE – presieduta da Corrado Carnevale – respinge i ricorsi di pubblico ministero e parti civili, mentre accoglie quelli degli imputati, annullando la sentenza di II grado. Per Carnevale, gli elementi emersi nel processo sono «generici» ed «equivoci», e addirittura è «arbitrario e assiomatico» definire Calò mafioso. Pochi giorni dopo, invece, la Corte d’Assise di Firenze condanna Abbatangelo all’ergastolo. Ciò crea una situazione paradossale, per cui gli imputati del processo principale sono stati assolti, mentre Abbatangelo – per il ruolo avuto nella stessa vicenda – è condannato.

Nel novembre 1991 si apre il processo di RINVIO IN APPELLO, che a sua volta ribalta la decisione della Cassazione. La Corte dunque ribadisce l’ergastolo per Calò e Cercola e la condanna di Schaudinn a 22 anni, e riduce a 24 anni la pena per Di Agostino. Quanto a Misso, Galeota e Pirozzi – già assolti in via definitiva per i reati più gravi – sono confermate le condanne per la detenzione di esplosivi. Il quantitativo di esplosivi in dotazione al gruppo romano, peraltro, fa pensare a «un vasto […] programma di attentati», per cui la strage del 904 si inserirebbe «in una strategia terroristica di più ampio respiro». Quanto al gruppo napoletano, la Corte conferma che la consegna degli esplosivi da Abbatangelo a Misso non basta a provare il nesso con la strage. Lo stesso Abbatangelo nel febbraio 1994 è assolto in appello dall’accusa di strage, e condannato a sei anni per detenzione di armi ed esplosivo.

Il 13 maggio 2014 è stato rinviato a giudizio Totò Riina, in quanto “mandante, determinatore e istigatore della strage da lui programmata e decisa con l’impiego di materiale esplosivo appartenente all’organizzazione ed utilizzato poi, in parte, anche nelle successive stragi degli anni ’90”. Il 14 aprile 2015 la Corte d’Assise di Firenze ha assolto Riina.

 

GLI ATTI GIUDIZIARI

Sentenza-ordinanza dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Firenze, G.I. Gironi, 3 novembre 1987. Sentenza della Corte d’Assise di I grado di Firenze, presidente Sechi, 25 febbraio 1989.

Sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Firenze, presidente Catelani, 15 marzo 1990.

Sentenza della I Sezione della Corte di Cassazione, presidente Carnevale, 5 marzo 1991.

Sentenza della Corte d’Assise di I grado di Firenze (processo Abbatangelo), presidente De Roberto, 28 marzo 1991.

Sentenza della II Corte d’Assise d’Appello di Firenze, presidente La Cava, 14 marzo 1992.

Sentenza della V Sezione della Corte di Cassazione, presidente Guasco, 24 novembre 1992.

Sentenza della II Corte d’Assise d’Appello di Firenze (processo Abbatangelo), presidente Pasquariello, 18 febbraio 1994.

Richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Firenze (Direzione Distrettuale Antimafia) per Riina Salvatore, 9 gennaio 2013.

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